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Luc Boltanski e la nuova destra.

Un piccolo reportage critico.

 

Venerdì 18 marzo all’Unione Culturale di Torino, Luc Boltanski e Arnaud Esquerre hanno presentato il loro libro Vers l’extrême: extension des domaines de la droite (Dehors, 2014), che non ha ancora, per disgrazia, una traduzione italiana.
Dico disgraziatamente perché, forse proprio per ritorsione alla mancata pubblicazione del pamphlet in Italia, i due autori hanno conferito fino al termine della serata, senza pensieri, in un francese spietatamente privo dell’assistenza di un traduttore.
Ma, almeno per i francofoni presenti nella –non affollatissima- sala, è stato facile decifrare la fisionomia tesa dei volti di Boltanski ed Esquerre, seguendo il racconto di come, durante i frequenti pasti consumati insieme nei mesi precedenti la stesura del libro, i due autori osservassero con stupore crescente il cambiamento del clima politico francese.

 

Ogni giorno, sgradita, l’estrema destra di Francia bussava ai loro bistrot e pretendeva un posto a tavola. Ogni giorno una parola d’ordine della destra -che gli autori pensavano dimenticata nei libri di storia, o nel cervello di un nostalgico -, appariva sulla bocca di un vicino, di due, di molti. E ogni giorno lo stupore si trasformava in inquietudine, man mano che la coppia si accorgeva che quei vicini erano anche i loro colleghi, spesso amici insospettabili, o inquilini del proprio palazzo, o persino vecchi militanti di sinistra.
Insomma -secondo Boltanski-, di pranzo in pranzo, la Francia si è di colpo trovata «di fronte alla possibilità che Marine Le Pen prendesse il potere».

 

Certamente, se si tenta di dare un’interpretazione al dilagare del Front National, bisogna ammettere che la nuova destra è stata capace, negli ultimi cinque anni, di costruirsi con abilità un «popolo oppresso dai potenti» a sua misura e uso, rimodellandolo dal vecchio movimento operaio. E certamente la sinistra, che non ha indovinato altrettanto bene la temperatura, si è fatta strappare la sua platea. Si è divisa in una contraddizione. La difesa dei suoi valori tradizionali da un lato, come l’internazionalismo, l’accoglienza in tema di immigrazione, e, dall’altro, i difficoltosi tentativi di critica delle alienazioni religiose -quella islamica in testa -, con il loro portato di omofobia, antifemminismo e intolleranza, in un ambiente sempre pronto a scatenare l’accusa di «islamofobia» e razzismo.
Ma forse, ed è qui che l’analisi di Boltanski si fa più fine, le vere cause del fatto che «il popolo della sinistra cominci ad esprimersi –spesso inconsciamente- come fosse di destra», sono da rintracciarsi piuttosto in un peccato originale che ha accomunato fin dall’inizio una certa destra e una certa sinistra: una critica del capitalismo che si potrebbe definire interrotta, limitata al neoliberismo, alla finanza e alle banche. Una critica che è sempre stata ed è sul punto di scivolare (come di fatto scivolò negli anni trenta) verso l’aperto antisemitismo, verso la critica del parassitismo degli speculatori, affamatori di un buon popolo fatto di «uomini di quarant’anni, bianchi, eterosessuali, sposati, con figli, residenti in regioni in declino, minacciati dalla disoccupazione»1. È questo il vero terreno sul quale cresce rigogliosa la nuova destra nazionalista e xenofoba, innaffiata anche dall’elettorato della vecchia sinistra.

 

E un posto nelle avanguardie di questa deriva -ha notato Boltanski-, è stato occupato con entusiasmo dagli intellettuali, soprattutto filosofi, che nel generale calo di consensi del marxismo tradizionale si sono impegnati rapidamente, «attraverso grandi divagazioni filosofiche che rileggono in modo ardito i grandi pensatori politici, da Locke a Marx», a dare un’alternativa al bon peuple, a inventare una «terza forza», «né-di-destra-né-di-sinistra» per la quale, se necessario, spingersi a «dare sostegno alle posizioni del Front National»2.

 

«Sta descrivendo anche l’Italia!», ho pensato al termine del ragionamento. Ma il pubblico dietro di me è rimasto stranamente freddo, o non ha afferrato le provocazioni. L’intervento di un ascoltatore stupefatto si è limitato a segnalare che «in Italia c’è soltanto una sinistra extraparlamentare del tutto avversa al nazionalismo», e che quindi il problema della deriva delle sinistre verso destra non esiste affatto. Insomma, si tratterebbe: «di faccende esclusivamente francesi».
Boltanski ed Esquerre hanno cercato allora di spiegare che in Francia il fenomeno si è sviluppato del tutto inaspettatamente e con una rapidità così impressionante che nessun paese può oggi sentirsi veramente immune.
La questione continua a non sollevare preoccupazione.

 

Allora comincio a pensare che, forse, questo ottimismo ostentato dalla sinistra italiana, con i suoi risvolti psicopatologici, non è che un happening organizzato dall’Unione Culturale. Forse è un tentativo di mostrare collettivamente, con una metafora viva, le tesi di Boltanski secondo le quali l’ex elettore della sinistra ruzzola verso il Front National «quasi inconsciamente».
E infatti, «inconsciamente», il pubblico torinese in sala dimentica quegli antagonisti di Torino che appoggiarono, solo poco tempo fa, il movimento dei Forconi infarcito di complottisti, neofascisti, attivisti del movimento 5 stelle e mercatali decisi a tutto pur di non pagare le tasse. Rimuove, come in un atto mancato, che il tratto comune di molte sinistre contemporanee «radicali» sia proprio quella critica del capitalismo limitata alla sola speculazione finanziaria, alle politiche neoliberali e all’Euro che è ormai condivisa anche da Casa Pound. Smarrisce nell’inconscio l’esaltazione della Russia di Putin e della Siria di Assad contro la «plutocrazia» occidentale che accomuna in Italia buona parte degli ex comunisti, degli anticapitalisti di sinistra e i «fascisti del terzo millennio».

 

Ma l’«Io» del pubblico dimostra di non essere davvero più padrone in casa propria quando si dimentica persino di quella galassia di nuovi o vecchi intellettuali, se così si possono definire, che cominciano a fiorire, o a dar frutto, o a marcire anche in Italia, impegnandosi a fondo nello stesso compito d’avanguardia dei loro omologhi francesi: da Massimo Fini a Giulietto Chiesa, correndo fino a Diego Fusaro.
E proprio il caso Fusaro, in questo, è ancora una volta esemplare del cambiamento di registro in atto.
Il «filosofo dagli occhi azzurri» (come viene spesso presentato a «La Gabbia»), infatti, è riuscito per primo nel capolavoro di ottenere un grandissimo seguito mediatico, sui peggiori talk show italiani, vampirizzando fino all’ultima goccia gli slogan dell’ultimo Costanzo Preve, il povero Preve ormai consunto dell’endorsement al Front National, utilizzato dai personaggi più ambigui del neofascismo per sdoganarsi utilizzando la sua fama di ex «pensatore marxista» e ridotto a pubblicare per le case editrici dell’estrema destra, come le Edizioni all’insegna del Veltro (Di Claudio Mutti, ex aderente di “Giovane Europa” ), e Settimo Sigillo.
Immune dal destino di emarginazione (pagato almeno di persona e senza sconti da Preve) del suo maestro-matrice, Fusaro è invece riuscito a sfondare a sinistra e a convincere Serge Latouche definendosi con la stessa disinvoltura marxiano e ammiratore di Dugin, allievo di Gramsci e rispettoso di Casa Pound, idolatra di Alain de Benoist, mostrandosi fiancheggiatore ambiguo di Marine Le Pen e Salvini e megafono della più becera critica del capitalismo tipica dell’estrema destra.

 

Siamo allora sicuri che sia un problema soltanto francese? O è piuttosto arrivato il momento che l’«Io» della sinistra torni ad occupare il posto che è ora saldamente in mano al suo «Es»?
Senza una critica veramente radicale alla totalità del capitalismo e alle sue categorie, l’inconscio potrebbe portare anche la sinistra su strade pericolose.
Non è un’interpretazione originale, sono costretto ad ammetterlo. La tesi è stata già sostenuta da un predecessore ben più illustre di me: «Io non ho creato il fascismo –confidò ai posteri Benito Mussolini nella sua ultima intervista-, l’ho tratto dall’inconscio degli italiani».

 


Note:

1. alfabeta2: Il popolo visto da destra.

2.Vedi nota 1.

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Riccardo Frola

Vive a Torino. Suoi articoli sono usciti per "Il Manifesto", "A rivista anarchica", "Il rasoio di occam-Micromega", "L'Indice dei libri del mese". Ha collaborato con testate locali del gruppo editoriale "l’Espresso-Repubblica". Per la casa editrice Mimesis ha curato: "Crisi: nella discarica del capitale" di Ernst Lohoff e Norbert Trenkle.

Un commento

  1. In Francia la Destra batte la Destra, sia politicamente che economicamente per non dire dell’ intelletualità…In Italia si segue a ruota ! Mussolini fu sconfitto ma il fascismo trionfò. Forse oggi lo si può chiamare fascismo democratico…! Forma politica che: forse esprime al meglio gli interessi del capitale !

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