Pubblichiamo questo stimolante contributo di Anselm Jappe, una riflessione su Internet, sulla iper-invasiva tecnologia cellulare e sul loro utilizzo da parte dei movimenti e comunque di coloro che vorrebbero opporsi al sistema. La digitalizzazione del mondo apre nuovi orizzonti e nuove possibilità, come recita anche il mantra neoliberale, oppure al contrario rappresenta solo l’ennesima stretta alle nostre catene, la tracciabilità permanente e il controllo ossessivo sulle nostre azioni e finanche sui nostri pensieri – senza considerare gli innumerevoli danni per l’ambiente? Questioni che non sono di lana caprina, e che meriterebbero un dibattito più approfondito rispetto a quello esistente. La provocazione di Jappe ci aiuta a fare qualche passo in questa direzione.
Ps: originariamente questo articolo è stato scritto in francese (titolo originale: Ecologistes ou hyperconnectés?). Inizialmente proposto al sito Reporterre, che lo ha rifiutato con pretesti formali, uscirà a breve sulla rivista La Decroissance. La versione italiana, che qui presentiamo, è stata leggermente ritoccata d’accordo con l’autore.
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Ecologisti o iperconnessi?
Nei raduni ecologisti piccoli e grandi del mondo intero si può spesso assistere a questo strano rituale: quando si tratta di parlare di questioni organizzative, dove si possono anche trattare temi che richiedono discrezione, si è invitati a lasciare il proprio cellulare su un tavolo, a qualche metro di distanza dalla riunione. Dopodiché, i militanti si avvicinano gli uni agli altri il più possibile per scambiarsi informazioni quasi sottovoce. Si sa che gli smartphone possono funzionare in due direzioni e, all’insaputa dei loro proprietari, trasmettere informazioni verso orecchie indiscrete. I militanti se ne privano allora per un quarto d’ora – senza dubbio inutilmente, visto che esistono dispositivi Spyware in grado di ascoltare a distanza (senza contare che, con ogni probabilità, ci sono informatori fra gli attivisti – ma questo è un altro argomento di cui si parla raramente nel movimento).
Questo rituale rappresenta un compromesso un po’ imbarazzante: sappiamo perfettamente che si dovrebbe riuscire a non rimanere connessi in modo permanente, ma ci riusciamo solo di tanto in tanto, per un quarto d’ora, e per ragioni di «sicurezza» – che fanno anche un po’ sorridere per via di certi modi da «boy scout». Ma le persone con una sensibilità ecologica dovrebbero, più di tutte le altre, diffidare del mondo digitale, e ridurne il più possibile l’utilizzo.
A rischio di ripetere argomenti che ogni ecologista dovrebbe conoscere a memoria, e diffondere, bisogna rammentare qui qualche «banalità di base»:
L’uso di Internet causa un grande consumo di energia (soprattutto fossile): attualmente, a livello mondiale, incide per il 15%, ma è in forte crescita, e fra pochi anni sarà molto maggiore.1 Il suo contributo al «riscaldamento globale» è ben noto. Le reti saranno pure «immateriali», ma si basano comunque su strutture molto materiali, come i data center, i cavi, i computer, i telefoni. Presentare la «transizione» verso un uso sempre maggiore di questi dispositivi come una soluzione «ecologica» è una illusione o un imbroglio, così come quando si propone – nello stile dei Verdi tedeschi al governo – di ricorrere quanto più possibile allo smart working, arrivando persino a felicitarsi del fatto che la pandemia del Covid abbia fortemente contribuito a far crescere questa modalità di lavoro. Si dimentica, qui, che Internet e i cellulari esistono solo grazie all’estrazione di materie prime, alla loro fabbricazione e ad una gestione dei rifiuti che si svolgono immancabilmente, in condizioni spaventose, nel sud del mondo. Ma le stesse persone che bevono solo caffè, e indossano camicie che provengono dal commercio «ecosolidale», si mostrano in genere poco sensibili di fronte a certi argomenti, forse perché sanno che da quelle parti troveranno ben pochi prodotti «equi e sostenibili» e dovrebbero allora farne a meno del tutto, se fossero coerenti.
Ricordiamo, di passaggio, che le onde elettromagnetiche hanno gravi conseguenze sulla salute, e come oramai non si sia più al riparo da nessuna parte dalle loro radiazioni.
In secondo luogo, la sensibilità ecologica si accompagna, generalmente, ad una certa attenzione verso le libertà pubbliche e private (anche se, in certi ambienti, è forte la tentazione di proporre metodi autoritari per risolvere, almeno parzialmente, la crisi ecologica, che si tratti di smart cities, attraverso un monitoraggio capillare dei comportamenti della popolazione, o di vere e proprie «eco-dittature»). Non dovrebbe essere necessario, allora, ricordare che niente oggigiorno minaccia le libertà di ognuno quanto la possibilità di tracciare parole e movimenti di una persona attraverso un qualche dispositivo «connesso», si tratti del telefono o della carta di credito, del consumo di elettricità (contatore «Linky»)2 o di una serie TV, del biglietto del treno, anche se acquistato ad un distributore automatico, oppure delle compere al supermercato. Stiamo già sperimentando un grado di sorveglianza che oltrepassa sotto molti aspetti quello descritto da Orwell nel suo 1984, dove era ancora possibile spostarci fuori dallo sguardo dello schermo. E considerando che all’interno di questo ambito tutto quello che si può fare viene effettivamente fatto, si può stare sicuri che sistemi di sorveglianza quali quelli già operativi in Cina, incluso il riconoscimento facciale (se ne vedrà delle belle ai prossimi giochi olimpici nel 2024 a Parigi …), saranno ben presto normali anche in Europa. Stiamo subendo, a tutti i livelli, una pressione permanente per farci vivere solo nel mondo digitale – chi non ha il cellulare, praticamente non può vivere. Per il capitale e lo Stato la digitalizzazione totale costituisce chiaramente una priorità assoluta, e niente deve sfuggirle: e ciò costituisce una ragione sufficiente per opporvisi.
Inoltre, ecologia significa difesa della natura a fronte delle aggressioni tecnologiche – dunque, critica dell’artificializzazione sempre crescente dell’esistenza. Impossibile non notare che più diventiamo digitali, meno ci rapportiamo direttamente agli altri esseri umani o alla natura.
Sono tutte cose arci-note. Se le si rammenta ad un qualsiasi militante ecologista, le ammetterà senza problemi. Ma passare alla pratica, è tutto un altro par di maniche. Spesso si sottolinea quanto le ragioni addotte, sia dall’uomo comune quanto dal potere, per dichiarare impossibile qualsiasi cambiamento rapido (uscire dall’automobilismo, abolire i pesticidi, diminuire il consumo di carne, farla finita con la caccia, vietare i nitriti, ridurre drasticamente il traffico aereo etc.) siano false e siano, nel migliore dei casi, determinate dalla pigrizia, se non dal sabotaggio e dalla volontà che niente cambi. Ma gli stessi ecologisti, da cui provengono queste giuste critiche, affermano sbrigativamente come il web faciliti l’organizzazione della vita militante e la diffusione delle informazioni, tanto che è impensabile poterne fare a meno. È un argomento, questo, che irrita i più, i quali preferiscono deviare velocemente la discussione su altri temi. Un solo aspetto riesce a catturare l’attenzione: il timore di venire intercettati. Ma la soluzione tecnologica è pronta all’uso: le applicazioni «ultra-sicure», perché criptate «end-to-end». Ogni militante deve diventarne esperto, e giurare sull’affidabilità di Protonmail, Telegram o Signal. Peccato che Protonmail abbia trasmesso delle informazioni su alcuni attivisti per il clima alla polizia nel 2021 (Numerama, 6/9/21). È poi assolutamente certo che la polizia può obbligare qualsiasi provider a fornire tutti i dati quando la «sicurezza» è in gioco (per esempio, per l’«ecoterrorismo»!).3 Ed è altrettanto sicuro che la polizia può tenere sotto controllo, legalmente o meno, qualsiasi mezzo di comunicazione. È infantile credere che si possa comunicare sulle reti digitali in modo assolutamente sicuro.
Esistono, con ogni probabilità, modi più sicuri per far circolare informazioni che non devono arrivare alle orecchie delle forze dell’ordine. Per esempio, il vecchio servizio postale. Ma tutto questo costa tempo e fatica, e l’attivista, come tutti oggi, come anche l’uomo medio che elogia il treno ma poi finisce per prendere l’auto, prende sempre la via più facile.
Effettivamente, al punto in cui siamo arrivati, sembra sia diventato quasi impossibile fare a meno da un momento all’altro dello smartphone, così come dell’auto o del conto in banca. Ma non sarebbe necessario cominciare almeno a discuterne, e soprattutto inaugurare qualche «buona pratica»? Perché affiggere ovunque, in un «campo sul clima», dei QR code con il programma, invece di stamparlo? Perché distribuire i materiali della campagna «non paghiamo l’energia fossile» (Ultima generazione), ancora con un QR code, simbolo delle digitalizzazione totale del mondo e delle sue conseguenze per l’ambiente, soprattutto in termini di consumo di fossili?
Era impossibile raggiungere la manifestazione di Sainte-Soline4 senza lo smartphone. Per arrivarci senza un auto propria, era necessario iscriversi ad un sito con tanto di password, proprio come su blablacar. Successivamente, per sapere dove andare, si era invitati a iscriversi su Telegram, e via di seguito. Chi non vuole adattarsi a queste regole, rappresenta un fastidio per gli altri, e viene considerato, almeno tacitamente, come reazionario, vecchio, inadatto, un rottame del passato. Proprio come nel resto della società. Diventa impossibile consultare il proprio conto in banca, acquistare un biglietto del treno, andare al museo. O andare ad una manifestazione.
Una proposta pratica: negli incontri e nelle azioni ecologiste, il cibo è sempre vegano, anche se non tutti gli attivisti lo sono. Perché allora non dichiarare questi incontri anche «internet-free», utilizzando i dispositivi tecnici esistenti per bloccare la rete entro un certo perimetro? Già solo restare sconnessi qualche ora, meglio qualche giorno, potrebbe favorire la disintossicazione e la presa di coscienza…
Ci sono comunque poche possibilità che una proposta del genere passi. Di fatto, una delle caratteristiche dell’eco-attivismo è la ricerca dell’unanimità e provare ad evitare conflitti interni («già siamo pochi…»). Rinunciare alla connessione, fosse pure per poco tempo, sembrerebbe troppo duro per molti. Forse si scoprirebbe, allora, che la FOMO (Fear of missing out, «paura di essere esclusi») è ancora più forte dell’«eco-ansia». Dietro la questione dell’utilizzo della rete, si profila una possibile spaccatura nel campo ecologista: fra coloro che pensano che per evitare la catastrofe ecologica sia necessaria una forte riduzione dell’uso delle tecnologie e la ricostituzione di pratiche autonome, e coloro i quali credono, anche senza dirlo apertamente, che sia inevitabile fare ricorso alle tecnologie esistenti, e persino a quelle che devono ancora essere sviluppate, dallo smart working alla geo-ingegneria, dagli algoritmi per la gestione dei rifiuti e del traffico alla carne sintetica, dall’auto elettrica all’isolamento termico con polistirene, dall’eolico ai biocarburanti…
Anselm Jappe
(traduzione dal francese di Massimo Maggini)
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Note:
1. “Se Internet fosse un Paese, sarebbe il terzo consumatore di elettricità al mondo, con 1.500 TWH all’anno, dopo Cina e Stati Uniti. In totale, il settore digitale consuma dal 10 al 15% dell’elettricità mondiale, l’equivalente di 100 reattori nucleari. E questo consumo raddoppia ogni 4 anni! Secondo il ricercatore Gerhard Fettweis, entro il 2030 l’elettricità consumata dal web sarà pari al consumo globale del 2008. Nel prossimo futuro, Internet diventerà la più grande fonte di inquinamento del mondo. […] In termini di emissioni di CO2, Internet inquina 1,5 volte di più del trasporto aereo. La metà dei gas serra prodotti da Internet proviene dall’utente, l’altra metà è suddivisa tra la rete e i centri dati” (https://www.fournisseur-energie.com/internet-plus-gros-pollueur-de-planete/, 26. 7. 2023, sito non ecologista, ma che dà “consigli ai consumatori”).
2. Si tratta di un contatore di nuova generazione, cosiddetto «intelligente» perché sembra permetta una gestione più efficiente del consumo di elettricità. È stato sin da subito oggetto di controversia, soprattutto per gli elevati campi elettromagnetici che produce e per il mancato rispetto della famosa «privacy». Introdotto inizialmente in Francia, adesso sta diventando di uso comune anche in Italia.
3. Un esempio di quanto i dati sensibili di ognuno, specie se «antagonista» al sistema, siano ben poco protetti, è sicuramente il celebre episodio che coinvolse, già nel 2004, il provider Aruba e il sito antagonista inventati.org, e che portò all’arresto di alcuni anarchici – tanto per cambiare. Aruba, su richiesta della polizia postale, dette le chiavi per accedere alle caselle postali dei collettivi, mettendola in grado di monitorare quotidianamente i loro scambi di mail. Per chi volesse approfondire, può essere utile visitare questa pagina proprio del sito in questione, o la pagina di Wikinews che riassume i fatti.
4. Nei pressi di Sainte-Soline, piccolo villaggio francese che si trova nel dipartimento delle Deux-Sèvres nella regione della Nuova Aquitania, è prevista la costruzione di mega-bacini che dovrebbero contenere enormi quantità di acqua da utilizzare per le coltivazioni intensive. Questo progetto, devastante da un punto di vista ambientale e legato all’agro-business, ha suscitato grandi proteste, e diverse manifestazioni, la più famosa delle quali si è svolta il 25 di marzo del 2023. In quel caso, la violenta risposta delle forze dell’ordine causò più di 200 feriti fra i manifestanti, alcuni dei quali gravi, e molti arresti. Per saperne di più, cf https://www.globalproject.info/it/mondi/francia-sainte-soline-e-la-violenza-di-stato-una-nuova-strategia-repressiva-allorizzonte/24414
A pochi anni di distanza dall’uscita degli smartphone (letteralmente “telefoni intelligenti”, difatti sono micro computer connessi alla rete internet, e telefonica, sempre la stessa però), il titolare o amministratore delegato di una nota casa produttrice di software antivirus, ovvero McAfee, disse che gli smartphone erano il modo migliore per spiare chiunque ovunque. Infatti in essi ci sono tutti gli ingredienti: microfono, telecamere anteriori e posteriori, ulteriore possibilità di installare applicazioni specifiche per spiare ancora meglio.
Al di là dello spionaggio però il vero problema è che questi smartphone aiutano l’ignoranza a diffondersi meglio nel mondo: volgarità, malcostume, comportamenti demenziali come camminare mentre si guarda lo schermo dello smartphone, ecc. Ma forse sto sottovalutando il prossimo. La maggior parte delle persone tende al bene, non alla volgarità.
Grazie Mike del commento, sicuramente condivisibile. Speriamo solo tu abbia ragione anche nell’ultima parte, quando dici “Ma forse sto sottovalutando il prossimo. La maggior parte delle persone tende al bene, non alla volgarità”. Speriamo davvero. Sempre, beninteso, che i più abbiamo chiaro, oggi, cosa sia “il bene”, per loro e per tutti. Tu cosa dici? 🙂
Caro Massimo, leggo solo ora la tua replica, grazie, e non posso non associarmi a quanto affermi. La mia sensazione e’ che pochissine persone siano consapevoli che noi tutti viviamo alla merce’ del capitalismo. Io per esempio me ne sono reso conto fino in fondo solo quando sono incappato nei tuoi scritti e in quelli del Gruppo Krisis. Prima di allora credevo ancora alla favola del buon capitalismo e del cattivo capitalismo, nonche’ alla moralizzazione del capitalismo finanziario. Certo, tutti i mali del mondo non sono dovuti al capitalismo, ma esso e’ oggi piu’ che mai la minaccia numero uno per il futuro dell’umanita’ e dell’intera biosfera. Insomma: esso e’ anti-vita su tutti i fronti.
…Per dirla tutta, la politica, tutti i cittadini viventi e/o i loro rappresentanti, pur di assecondare un capitalismo morente, hanno rinunciato per sempre agli obiettivi fondamentali e tra i piu’ elevati della societa’ e del patto sociale: piena occupazione e qualita’ della vita. A proposito ho scritto un libro su questo, dal punto di vista dell’architettura: riqualificazione degli habitat artificiali (le citta’) e salvaguardia di quelli naturali. Ovvero “Verso un altro habitat”, reperibile gratuitamente come ebook sul mio sito culturale e professionale. Non e’ con l’architettura monumentale d’eccezione che si migliora l’infernale vita nelle citta’, ma riqualificando le squallide periferie di tutte le citta’ del mondo. E non ci vorrebbe molto, anche in termini economici. In molte citta’ ci sono riusciti, almeno in parte.
Piena occupazione possibile oggi piu’ che mai come affermi tu, Massimo, e altri, “lavorando meno, ma lavorando tutti”, e meglio.
ciao Mike, molto piacere di risentirti.
Dov’e’ che io approvo la “piena occupazione”, non ricordo? 🙂 Comunque, più che altro non ricordo dove abbia menzionato un tale concetto. Non che, molto teoricamente, la disdegnerei – ovviamente a certe condizioni, e dando per scontato e quasi “insuperabile” l’attuale sconcertante stato delle cose – ma non è propriamente, diciamo così, il traguardo che avrei principalmente di mira, tantomeno ciò su cui mi spendo di più. E, fra l’altro, non so nemmeno se sarebbe veramente mai raggiungibile, all’interno del capitalismo di crisi. Né desiderabile. Ma su questo versante rischiamo di perderci in qualche cul de sac. Piuttosto, per essere più realisti, credo sarebbe arrivato il momento di pensare, seriamente, a costruire una via d’uscita dal capitalismo, impresa tutt’altro che facile e per niente scontata, ma non più rimandabile. L’unica “piena occupazione” che concepisco, per rimanere a quel tipo di linguaggio, è quella che “lavora” in questo senso, cioè verso un superamento (reale, non posticcio come quelli a cui abbiamo purtroppo assistito sino ad ora) del sistema del capitale. Mica roba da ridere, eh? 😉
Per il resto, molto interessante il libro sull’architettura a cui fai riferimento: hai per caso un link dove possiamo andare a scaricarlo?
Un caro saluto, e a presto
Si, ecco il link, grazie, e nelle pagine successive c’e’ l’intero libro PDF scaricabile liberamente:
systemichabitats.it/verso-un-altro-habitat
Riguardo la mia interpretazione della piena occupazione, piena non in termini di ore ma di diritto dignita’ per tutti di accesso al mondo del lavoro, o meglio, rendersi utili slla societa’ e non al capitale; secondo me prima di tutto bisognerebbe trovare il modo di attuare la decrescita, perche’ non abbiamo bisogno di tutti questi beni futili, che si degradano per giunta rapidamente per obsolescenza (truffaldina da cartello, o meno) programmata in vario modo, ne’ di tutti questi rifiuti che avvelenano noi stessi e l’ambiente. Contemporaneamente, si dovrebbe perseguire secondo me la piena occcupazione, cioe’ lavorando tutti, e quindi di meno. E comunque di meno in assoluto, cominciando a ridurre le ore lavorative settimanali, passando da 5 fino a 2 giorni di lavoro a settimana. Nel contempo, barriere doganali per tutti i beni e servizi provenienti da nazioni dove c!e’ chi lavora lavora troppo e chi non lavora per niente, perche’ non trova lavoro, e viene espulso dal sistema e ridotto a un rifiuto della societa’: nullatenenti, senzatetto, tossicodipendenti, ludopatici, abbandonati al loro destino. In realta’ e’ wuello che un distena socioeconomico disumano gli ha imposto.