Il seguente testo è solo una parte di un lungo saggio di Robert Kurz dal titolo Geld ohne Wert (Horlemann Verlag, 2012). Esso rappresenta il lascito teorico e l’ultimo contributo organico dell’autore nella direzione di un notevole tentativo (iniziato già a metà degli anni Ottanta) di ricostruire la critica dell’economia politica e di formulare una teoria radicale della crisi del capitalismo. Ci limitiamo qui a fornire alcune succinte coordinate.
Il fulcro della trattazione è naturalmente la questione del denaro e del suo valore, sapientemente declinata attraverso un confronto con l’antichità e l’età medioevale in cui il denaro non aveva affatto il ruolo centrale che riveste nella modernità con la sua universalizzazione del capitalismo e delle relative categorie. Sottolineando la natura storicamente e logicamente differente del denaro nella modernità capitalistica rispetto alle epoche premoderne, Kurz imposta la questione della sua funzione sociale negli ultimi secoli e ne mette in luce gli elementi di crisi.
In secondo luogo, l’accento viene posto sulla necessità di analizzare la società capitalistica come un intero. Di conseguenza Kurz conduce una critica serrata al cosiddetto “individualismo metodologico”1 che caratterizza l’approccio utilizzato da Marx ne Il capitale ma anche e soprattutto le correnti neo-marxiste più recenti (in particolare la cosiddetta Neue-Marx-Lektüre di Michael Heinrich).
Nello specifico il testo che presentiamo prende in esame la categoria della “circolazione” mettendone in luce la natura illusoria. Se intesa come uno scambio generalizzato di merci prodotte da produttori indipendenti con la mediazione dal denaro, essa non ha mai avuto luogo storicamente; infatti nelle società premoderne non vi era alcuna produzione universale di merci mentre nella modernità capitalistica il denaro non media affatto lo scambio di merci differenti ma costituisce un fine in sé, in ossequio alla logica fondamentale del sistema. Questa idea ha piuttosto il suo luogo d’elezione nella visione ideologica della teoria economica ufficiale (quella del “velo del denaro”). Nella realtà le merci vengono realizzate, vendute e consumate ma non “circolano”.
A sua volta una circolazione del denaro si era forse brevemente verificata in quella che Kurz definisce la fase di transizione verso la costituzione capitalistica, che mette in relazione con lo sconvolgimento sociale dettato dall’innovazione delle nuove armi da fuoco e degli eserciti professionisti (la “rivoluzione militare”) e la crescente monetarizzazione dei rapporti sociali.
Di conseguenza non ha più senso parlare di una circolazione che quindi “scompare”. Ma questa scomparsa (da non confondere con la sostituzione della sfera del mercato con un sistema di controllo pianificato come nella teoria critica di Horkheimer e Adorno) coincide con l’instaurazione della dinamica sociale fondata sulle metamorfosi cicliche del valore attraverso le sue manifestazioni (o stati di aggregazione) della merce e del denaro. Ed è proprio tale metamorfosi che si cela dietro la percezione ideologica della circolazione, come figura della scienza economica e illusione della coscienza sociale.
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Cap.VIII di Geld ohne Wert
titolo originale: Das Verschwinden der Zirkulation und die Logik des Kapitals
(Horlemann Verlag, 2012, pp.157-166)
La scomparsa della circolazione e la logica del capitale
Una volta chiarita la storia della costituzione [del capitalismo N.d.T.], così come il problema della differenza tra la successione «storica» e quella «logica» delle categorie [capitalistiche N.d.T.], siamo anche in grado di ridefinire il concetto e l’analisi del capitale sulle proprie basi o del «movimento in sé». È necessario pertanto ritornare ancora una volta al problema dell’esposizione in Marx. Se la «produzione semplice di merce» di Engels, accolta da Marx, assume la parvenza di una «circolazione semplice» – in realtà solo un livello superficiale nell’esposizione del capitale sviluppato che ha «concluso» la propria costituzione storica – allora dalla ricostruzione di quest’ultimo consegue una correzione assai più ampia di quella formulata dalla Neue Marx-Lektüre.
In senso stretto la «circolazione» come tale è solo un fenomeno relativo alla trasformazione che sta alla base della costituzione [del capitalismo N.d.T] a partire dai rapporti premoderni, ossia un fenomeno di transizione sulla via della sparizione storica. In sostanza il concetto di circolazione come presunta determinazione trans-storica deve molto al fraintendimento di Engels, alimentato da Marx con la sua logica espositiva. Nelle formazioni sociali del passato non esisteva una circolazione mentre nel capitalismo pienamente sviluppato essa non esiste più. Infatti tale concetto, anche per il movimento in sé del capitale maturo, in grado di svilupparsi sule proprie basi, risulta ancora una volta obsoleto.
In senso letterale la circolazione dovrebbe corrispondere unicamente alla formula M–D–M, che per Marx rappresenta solo un livello dell’esposizione progressiva o della ricostruzione teorica del capitale nella sua logica, senza che le attribuisca alcuna realtà autonoma. Per le società pre-capitalistiche tale formula non può essere valida visto che esse non conoscevano alcuna produzione generale di merce, né lo può essere per il capitalismo poiché qui la forma-denaro non rappresenta più una mediazione ma costituisce il principio e la fine del movimento fine-a-se-stesso con la merce che, all’opposto, è solo un «mezzo» ossia un mero strumento per uno scopo ad essa esterno. Pertanto la formula non indica alcun processo reale ma è solo un ausilio euristico nella ricostruzione teorica del rapporto reale da parte di Marx. Questi deve ricorrere virtualmente alla formula falsa dell’apparenza per spiegare la formula corretta del movimento reale occulto.
Quale sarebbe il significato della «semplice» formula M–D–M in un mondo solo ipotetico? Un tale rapporto indicherebbe uno scambio generale, universale in una società di produttori di merce «semplici» e indipendenti attraverso il medio del denaro allo scopo di mettere in relazione i beni in vista del consumo nella forma-merce: un rapporto che come tale non è mai esistito. Esso trova posto solo nell’ideologia della scienza economica borghese, la quale prende le mosse da tali produttori indipendenti come presupposto del mercato universale, dissolvendo pertanto il rapporto capitalistico, non solo in quanto rapporto empiricamente sociologico tra «lavoro salariato e capitale» (come aveva già notato anche il tradizionale marxismo del movimento operaio) ma soprattutto come feticcio del capitale o fine-in-sé della «ricchezza astratta».
In questa ideologia basata su di una società di produttori indipendenti, in cui si fa astrazione dal carattere specifico della merce forza-lavoro, il mercato appare come la sfera «naturale» dello scambio di beni d’uso, per la quale il denaro sarebbe solo un ausilio inessenziale. Questa ideologia primigenia della scienza economica, di cui ha sempre costituito il fondamento, oggi, nell’epoca postmoderna, si alimenta sempre più di una coscienza «popolare» o di massa, plasmata dal discorso egemone dei nuovi strati medi – anche e soprattutto perché questi ultimi sono minacciati di dissesto.
Per gli individui socialmente autoaffermativi, che sono oggetto dell’«outsourcing» e dell’autosfruttamento, per i lavoratori pseudo-autonomi e per i piccoli e precarizzati fornitori di servizi di ogni genere, fino ad arrivare alle piccole imprese pseudo-alternative, ai venditori di se stessi e ai «manager dell’esistenza» e della propria forza-lavoro, la società appare effettivamente come un ammasso di bottegucce cangianti che si relazionano secondo la formula idiota M-D–M (qui il termine «idiota» andrebbe inteso nel suo antico significato).2 Il fatto che queste forme di esistenza, nell’insieme, siano solo un derivato della riproduzione sociale complessiva secondo la formula del feticcio del capitale sfugge largamente alla percezione e all’auto-percezione oppure viene ridotto ad una qualche variante del vecchio impulso piccolo-borghese contro il «grande capitale», inteso in un senso sociologicamente riduttivo, e soprattutto contro il capitale produttivo di interesse delle grandi banche. E tale impulso, detto per inciso, spiega l’inclinazione del pensiero postmoderno verso un antisemitismo dissimulato visto che la moderna ideologia antisemita, già dal XIX secolo, è indissolubilmente legata con questo «anticapitalismo» decurtato o reazionario del classico piccolo proprietario come anche del postmoderno venditore di se stesso.
Una circolazione «idealizzata» nei mondi virtuali di una coscienza piccolo-borghese fissata sulla merce, ideologicamente sordida, rappresenta di fatto l’Eldorado delle corrispondenti pulsioni ossessive. Sotto tali presupposti, ciò che ha davvero la facoltà di «circolare», senza estinguersi nei singoli atti di acquisto o di vendita, è esclusivamente il denaro, che passa incessantemente di mano in mano. Come si è già detto, una tale circolazione, come relazione generale (e solo in questo senso essa possiederebbe realtà autonoma) non è mai esistita nei rapporti precapitalistici. Questo genere di circolazione appare solo nel doloroso processo di transizione verso il capitalismo, ancora frammista ai vecchi rapporti di obbligazione personale in via di dissolvimento (monetizzazione dei tributi); come tale, però, essa non aveva alcuna consistenza poiché si trattava per l’appunto di un fenomeno transitorio e di un momento collaterale al processo di costituzione. Ma non appena il capitale, conformemente alla sua stessa logica, si fa «processo» sulla base del sistema del «lavoro astratto» e dell’oggettività del valore, ci troviamo effettivamente di fronte a qualcosa di diverso.
Ciò che adesso si manifesta come «circolazione» non è già più tale oppure è una mera parvenza dietro la quale si cela qualcos’altro; di conseguenza, anche per questo fenomeno, non abbiamo semplicemente a che fare con una percezione corretta ma deficitaria, quanto piuttosto con una vera e propria illusione. Su questo punto Marx, già nei Grundrisse, non lascia adito a dubbi: «La circolazione, che compare quindi come fatto immediato alla superficie della società borghese, è possibile soltanto in quanto viene costantemente mediata […] Sicché essa deve essere mediata […] come processo totale stesso. Il suo essere immediato è perciò pura parvenza. Essa è il fenomeno di un processo che si svolge alle sue spalle». Questa affermazione viene contraddetta da numerose altre di diverso tenore in cui Marx assume questa circolazione nella sua falsa immediatezza, anche se non è mai del tutto chiaro se egli stia pensando davvero ad una circolazione «semplice» precapitalistica, oppure si tratti solo di un passaggio (non determinato come reale) all’interno dell’esposizione concettuale del processo reale che si svolge «dietro» alla presunta circolazione.
La stessa incertezza o ambiguità riappare nell’esposizione concettuale stessa allorché Marx si pronuncia sul tema di cosa possa effettivamente circolare. Non è solo che lo scambio di merci e denaro, divenuto generale esclusivamente nelle condizioni del capitalismo, non è assolutamente ciò che appare, ossia una circolazione. Piuttosto le due oggettività di merce e denaro, anche per la loro manifestazione esteriore, si comportano in modo completamente differente nei confronti della «circolazione»; un fatto che viene oscurato dalla comprensione ordinaria (anche marxista) di questo concetto. Da un lato Marx, accanto al denaro, lascia che circolino felicemente anche le merci: «Il denaro dunque circola in una direzione opposta a quella delle merci […] Esso è la ruota, lo strumento di circolazione per la circolazione delle merci». Le merci però non circolano nella stessa direzione del denaro, né tantomeno nella direzione opposta, esse non circolano affatto come lo stesso Marx, quasi en passant, constata in un altro punto: «Nella circolazione, quando io scambio una merce con denaro, in cambio di questo compro una merce e soddisfo il mio bisogno, l’atto è concluso».
Nei fatti le merci non circolano affatto attraverso molti «cambi di mano» tra venditori e acquirenti perché ogni merce, a partire dalla produzione, attraverso la vendita, va nel consumo nel quale scompare. Il commercio intermedio non può valere come prova di una circolazione di merci in quanto esso non fa altro che prolungare un poco la strada a senso unico verso il consumo. Tantomeno si può confondere la catena delle materie prime e dei componenti intermedi fino alla merce fatta e finita o il rapporto tra l’industria dei mezzi di produzione e l’industria di consumo con una circolazione di merci. Infatti qui si tratta solo di una divisione funzionale concreta, non della «circolazione» della stessa identica merce. Anche nel caso in cui (come ad esempio per le macchine) si verifica un trasferimento di valore, questo si colloca nel processo produttivo, non all’interno di una circolazione.
Pertanto le merci non circolano mai e in nessun luogo. Vengono prodotte, acquistate e consumate ma tutti questi sono singoli atti per una singola merce mentre è solo il denaro a circolare in apparenza. Ora però il denaro non è più denaro o denaro «semplice» bensì capitale. Se prima del capitalismo il denaro non era affatto denaro nel senso odierno, adesso, in quanto tale, come oggetto economico apparentemente semplice, è solo «falsa parvenza». Infatti l’universalizzazione e l’autonomizzazione del denaro a oggettività di valore, ossia ad espressione generale del valore stesso, si compie solo nella misura in cui esso diviene capitale, ossia un medio fine-a-se-stesso, tautologicamente auto-riferito. Il «puro», «semplice» denaro in quanto denaro non è mai esistito prima del capitalismo, né può esistere nel «movimento in sé» del capitale: è esistito solo nella trasformazione transitoria che si è però storicamente conclusa.
Come mera astrazione teorico-analitica, la formula M-D-M, che non ha una realtà precapitalistica né tantomeno capitalistica, deve essere sostituita dalla formula capitalistica reale D-M-D sotto il cui dominio «M» e «D» divengono pure forme. Adesso ciò che «circola» è solo il capitale; ma è ancora possibile parlare di una circolazione? La derivazione storica di questo concetto si deve ad una proiezione anacronistica delle categorie capitalistiche sull’epoca premoderna e, sul piano teorico, al problema della logica dell’esposizione in Marx, la quale, allo scopo di un mera ricostruzione mentale, ha inizio con le forme «semplici» di merce e denaro – e probabilmente non avrebbe potuto iniziare in alcun altro modo. Ma se la circolazione ha un contenuto di realtà solo nella fase della costituzione storica concreta proto-moderna; dopo di questa abbiamo a che fare, in realtà, con il movimento di realizzazione del capitale, così come lo ha illustrato Marx, non solo nel secondo libro de Il capitale. La realizzazione del plusvalore astratto fine-a-se-stesso è però qualcosa di diverso dalla circolazione del denaro.
Non c’è dubbio che Marx parli espressamente del «processo di circolazione del capitale» ma questa terminologia consegue precisamente dal problema dell’esposizione, trasferendo le forme di rappresentazione di un determinato livello «semplice» della mera parvenza sull’essenza reale del rapporto sociale come un intero. Lo si osserva più precisamente nel fatto che Marx ha scelto come sottotitolo della prima sezione del secondo libro Le metamorfosi del capitale ed il suo ciclo, laddove la parola «ciclo» indica qualcosa di ben diverso, di molto più vasto, di una «circolazione sul mercato». Infine il terzo libro de Il capitale ha per titolo Il processo complessivo della produzione capitalistica. Qui non si parla neppure più di una «circolazione del capitale» ed è evidente che il concetto della cosa stessa designa un processo di riproduzione sempre più allargato di cui il mercato universale costituisce solo un momento che, considerato di per sé, risulta perfino incomprensibile.
La metamorfosi del capitale consiste nel fatto che esso assume una dopo l’altra le forme fenomeniche del capitale monetario, del capitale produttivo (capitale fisso e forza-lavoro), del capitale in forma di merce e, alla fine, nuovamente del capitale monetario. Il carattere qualitativamente tautologico di queste metamorfosi, ossia il fatto che dal capitale monetario si ottenga ancora capitale monetario (D–M–D), si spiega unicamente, secondo Marx, con la sua mutazione quantitativa. Nel processo di produzione, a partire dal valore nella forma di una somma di capitale monetario, si ottiene plusvalore nella forma di una somma maggiore di capitale monetario (D–M–D’) che tuttavia deve essere «realizzato» mediante la vendita del capitale in forma di merci, cioè ritrasformato nella sua forma originaria (aumentata). Sono proprio questa autotelia feticistica del plusvalore e l’incessante ripetizione di questo processo di valorizzazione che fanno del capitale il «soggetto automatico» della società.
Di un «ciclo» si può parlare solo nel senso che il capitale, per adempiere al proprio fine-in-sé, deve «attraversare» sempre la successione di queste metamorfosi; esso però, come tale, non circola sul mercato in quanto questo costituisce solo la sfera della «realizzazione» come conclusione del processo di valorizzazione; è unicamente una stazione del ciclo mentre il concetto di circolazione si limita a percepire superficialmente il movimento all’interno di questa singola stazione, ossia l’eterno cambio di mano di merce e denaro che tuttavia è precisamente mera parvenza.
Se i rappresentanti del capitale compaiono come acquirenti sul mercato, anche questo atto è solo un momento della realizzazione nella misura in cui un certo capitale in forma di merci (ad es. mezzi di produzione) ridiventa capitale monetario. Lo stesso vale per il capitale in forma di merci quali beni di consumo, che vengono acquistati sia dai rappresentanti del capitale sia dai lavoratori salariati; anche in questo caso si tratta di un momento della realizzazione. Gli atti di acquisto e di vendita di tutti i «soggetti di mercato» capitalistici (incluso lo Stato) appartengono tutti senza eccezione alcuna a questo atto di realizzazione; in caso contrario non potrebbero neppure verificarsi. Tuttavia lo stadio decisivo di queste metamorfosi, il processo di produzione, non si compie sul mercato. Dunque, nella misura in cui questo «ciclo delle metamorfosi» include la produzione e ne fa perfino il suo centro, esso è qualcosa di completamente diverso sul piano qualitativo da una «circolazione» sul mercato; in questo senso le merci come stadio delle metamorfosi non «circolano», né il capitale come tale, e anche la circolazione del denaro in tutti questi atti di acquisto e vendita (ogni acquisto è anche una vendita) sarebbe da definire come un’illusione ottica in quanto è solo un momento di un «ciclo» totalmente diverso.
Ciò che si ha non è la circolazione del denaro in quanto denaro, bensì la realizzazione del plusvalore. La «circolazione semplice», come l’ha definita Marx sul livello dell’esposizione, è fondamentalmente il concetto di circolazione in generale e non possiede alcuna realtà nel capitalismo. È piuttosto quella «falsa parvenza», quel modo in cui il processo di valorizzazione si manifesta agli occhi dei singoli empirici «soggetti economici». Non c’è dubbio che la metamorfosi reale del «soggetto automatico» si verifichi dietro alle loro spalle, sebbene essi siano gli unici portatori del processo di valorizzazione. Dalla loro prospettiva particolare e ristretta, il cui presupposto è comunque l’interiorizzazione inconsapevole delle categorie del fine-in-sé, «c’è» solo l’universale cambio di mano della merce e del denaro, quindi anche l’eterna circolazione del denaro, mentre la produzione appare come un fattore «esterno», staccato dalla circolazione del denaro ed inoltre altrettanto naturale del mercato.
Così l’ordinario concetto di circolazione, adottato anche da Marx, che viene inteso come sinonimo di mercato, si rivela come una percezione ideologica, che deforma la condizione reale e la restituisce in una forma decurtata. Tuttavia, non si tratta solo di un problema della scienza ufficiale ma anche del marxismo tradizionale, che ha ancora una volta la sua radice nella logica dell’esposizione di Marx e nella sua terminologia. La trasposizione del concetto di circolazione sulle metamorfosi del capitale ha incoraggiato un’interpretazione in cui la produzione vale come uno spazio quasi neutrale o influenzato solo esteriormente dal capitale (ad esempio nelle condizioni sociali di fondo) mentre il capitalismo, da un lato, viene rappresentato in una forma riduttiva nel senso sociologico della logica del dominio e in quello giuridico (rapporti di proprietà o opposizione tra proprietari e non-proprietari) mentre dall’altro appare come una mediazione «caotica» per mezzo di una sfera della circolazione «non pianificata». Le metamorfosi reali del capitale come processo complessivo si riducono ad un rapporto circolativo, che non è neppure reale. La dicotomia che ne risulta tra produzione e circolazione, esente da mediazione o mediata solo esteriormente, come percezione ideologica di una totalità che in realtà è completamente differente, si ritrova financo in Michael Heinrich per il quale dunque il concetto di «processo complessivo» appare altrettanto esteriore, formale e vago.
Per inciso, la «scomparsa della circolazione» nel senso qui abbozzato, è qualcosa di completamente diverso da come viene intesa dalla teoria critica di Adorno e Horkheimer. Nei testi sullo Stato autoritario e nelle ricezioni più tarde (ad esempio quella della cosiddetta «ideologia antitedesca») si afferma che la circolazione (presupposta come reale) nel senso di un rapporto generale di scambio sul mercato sarebbe stata esautorata e sostituita dal comando statale. Questa elaborazione riduttiva nei termini della critica dell’economia politica, riferita soprattutto al nazionalsocialismo, racchiude una valutazione ideologica nella misura in cui essa invoca come antitesi, nel senso dello scambio idealizzato, un soggetto della circolazione borghese pseudo-autonomo.
In realtà non è mai accaduto nulla di tutto ciò. Come si è già illustrato, una circolazione del denaro modificato è sorta solo temporaneamente nella costituzione trasformativa del capitale e proprio come parte integrante del sanguinoso «processo di separazione» delle categorie economiche, emerse qui per la prima volta dai vecchi rapporti di obbligazione. E fu precisamente lo Stato proto-moderno, che venne generato solo all’interno di questo processo, ad imporre nel senso letterale del termine questa circolazione. Ma la tutt’altro che autonoma sfera della circolazione si dimostrò «inessenziale» una volta che, grazie ad essa, nacque il capitalismo, nel quale il mercato divenne universale in quanto esso non poteva essere che la «sfera di realizzazione» nelle metamorfosi del capitale. La «scomparsa» della sfera autonoma della circolazione non è dunque un risultato tardivo del potere di comando, solo esteriore, dello Stato ma, all’opposto, un risultato precoce della «autonomizzazione» interna del «soggetto automatico», che «incorporò» e «trascese» la circolazione, che era stata creata dallo Stato, nelle metamorfosi del proprio «movimento in sé». Di fatto le cose sono andate proprio all’opposto rispetto all’interpretazione della Scuola di Francoforte.
Questa erronea determinazione del concetto di circolazione non pregiudica certo la Teoria critica, la quale, d’altro canto, rappresenta un presupposto della correzione qui formulata. Questa percezione deformata del problema rimanda piuttosto alle ben note insufficienze dei suoi protagonisti nella critica delle categorie dell’economia politica. Tanto l’interpretazione erronea, storica e logica, di Adorno e Horkheimer (peggiorata dagli ideologi «antitedeschi» dell’idealismo dello scambio borghese), quanto la deviazione della Neue Marx-Lektüre, dovuta all’ideologia della circolazione, soprattutto nella versione di Heinrich, sono da attribuire, oltre che alla dicotomia esteriore tra produzione e circolazione, formulata dal marxismo tradizionale, anche alla forma dell’esposizione dello stesso Marx: la logica di un concetto generale di circolazione, che rimanda al «problema del punto di partenza», si diffonde su tutti i livelli dell’esposizione.
Del resto l’ideologia del soggetto autonomo della circolazione basata sull’idealismo dello scambio viene smentita non solo dal carattere del mercato come mera stazione nelle metamorfosi del «soggetto automatico» ma anche all’interno della sfera di realizzazione del plusvalore stesso, falsamente definita come «circolazione». Nel caso dell’acquisto e della vendita universale, se si trattasse realmente si atti autonomi compiuti da soggetti economici autonomi, allora il legame tra sostanza di lavoro astratto, oggettività del valore e denaro si sarebbe realizzato linearmente in ogni singolo atto, ogni attore porrebbe in relazione, ciascuno per parte sua, la propria sostanza di lavoro e oggettività di valore con quelle degli altri in forma «equivalente». E in effetti, anche in Marx, il concetto di equivalenza viene adoperato per lunghi tratti in questo senso, ossia come equivalenza immediata di merce e controparte della merce oppure di merce e denaro. Tale comprensione – che in Marx rimane contraddittoria, come dimostra soprattutto il terzo libro de Il capitale, in cui la relazione di equivalenza presupposta all’improvviso non funziona più – nelle interpretazioni basate sull’ideologia dello scambio, provenienti anche dalla sinistra, si è trasformata in una falsa coscienza ideologica nella quale una presunta critica radicale si rivela ben presto come scialbo liberalismo borghese di sinistra (ad esempio nei cosiddetti «antitedeschi»).
Il fenomeno reale, che sconfessa questa ideologia all’interno del mercato stesso, è la concorrenza universale. Il rapporto generale della concorrenza si rivela come l’esecutore della «silenziosa coazione» (Marx) di una logica che si prende gioco di qualsivoglia autonomia dell’individuo. La leggenda ideologica progressista del carattere emancipatore del sedicente libero «soggetto dello scambio», soggiogato forse solo dalla sfera non-autonoma della produzione capitalistica, smentisce se stesso nel momento in cui, in virtù della concorrenza, proprio la presunta sfera dell’autonomia diviene il teatro di una guerra di tutti contro tutti che si rovescia inevitabilmente nella violenza. Il «libero» mercato è una fonte della violenza così come tutte le altre stazioni o momenti della logica della valorizzazione.
Appare evidente come nella forme premoderne di scambio sotto il dettato di forme di obbligazione personale, anche nel caso in cui queste sono state falsamente identificate come produzione di merce e forma-valore, non è mai esistita alcuna concorrenza. Anche nella originaria costituzione proto-moderna il rapporto generale della concorrenza si è sviluppato solo nella misura in cui la sintesi aprioristica mediante il «lavoro astratto» e la valorizzazione del capitale sono emerse attraverso molti capitali individuali. Una volta presupposta la concezione dell’idealismo dello scambio la concorrenza appare completamente inspiegabile. È possibile spiegarla solo in virtù del fatto che l’equivalenza individuale, ideologicamente postulata, delle operazioni di mercato non esiste realmente. Ne derivano naturalmente delle conseguenze per il proseguimento dell’analisi del capitale, che vengono alla luce nelle ben note contraddizioni della determinazione del valore tra il primo e il terzo libro de Il capitale (il cosiddetto «problema della trasformazione»). Ce ne dovremo occupare tra breve.
traduzione e cura di Samuele Cerea
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Note:
1. Questo concetto, ripreso da Kurz, è nato e si è sviluppato all’interno delle scienze sociali di natura liberale, come concetto “fondativo” del primato del “self-made man” tanto caro alle ideologie neoliberiste dominanti. Per farsi un’idea della storia e degli autori che hanno contribuito a plasmarlo, può essere utile uno sguardo su wikipedia e anche a questa pagina, dove è scaricabile un articolo che approfondisce la questione e ne parla in modo più articolato. Per capire l’uso che ne fa Kurz, possono invece essere di aiuto questi passaggi, tratti da questo articolo di Anselm Jappe, traduzione di Franco Senia, dove Jappe scrive: “…Rispetto ai suoi precedenti libri, Kurz approfondisce qui [proprio in Geld ohne Wert, cioe’ in Denaro senza valore, libro da cui è tratto il capitolo qui tradotto – NdR] due temi che precedentemente erano rimasti essenzialmente impliciti. Egli afferma che ciò che noi chiamiamo «valore» e «denaro» non esisteva affatto prima del XIV e del XV secolo, e sostiene che i fenomeni che nelle società precapitalistiche ci appaiono come denaro o come valore, in realtà svolgevano una funzione fondamentalmente diversa. Il capitalismo non è nato come un’escrescenza particolare su un’esistenza atemporale – in ogni caso, molto antica – del valore e del denaro, bensì è nato insieme ad essi. Kurz si limita a fare solamente delle breve escursioni nella storia «fattuale», però esamina in dettaglio le strutture delle «categorie» della critica dell’economia politica. A tale scopo si rende necessario sbaragliare l’«individualismo metodologico» (identificato con il «positivismo») che egli ritiene essere il fondamento di ogni pensiero borghese, e che avrebbe «infettato» anche quasi tutto il marxismo. Presente nel pensiero dello stesso Marx, a fianco della sua ispirazione più autenticamente dialettica, spiegherebbe quelle che sono le contraddizioni nella sua opera…”, “…Il rifiuto dell’«individualismo metodologico», ha portato frutti anche per quel che riguarda la rilettura kurziana di Marx e la critica dell’adattarsi da parte del marxismo ai criteri dell’economia politica borghese (marginalista e neoliberista)….”
2.Cioè, di “cittadino privato”, che cura il suo proprio orticello e che resta indifferente al contesto sociale in cui è inserito (cf anche https://unaparolaalgiorno.it/significato/idiota)