A Torino, dopo i gravi fatti di ordine pubblico in piazza San Carlo e dopo gli scontri avvenuti nel quartiere Vanchiglia tra “popolo della notte” e forze dell’ordine, i centri sociali vicini al sito www.infoaut.org, che un anno fa avevano appoggiato l’elezione dell’attuale sindaco cinque stelle Chiara Appendino, sconvolti dal fatto assolutamente inedito che ”le promesse della campagna elettorale vengano disattese una dopo l’altra”, tentano un’analisi dei tafferugli.
Per spiegarsi il fenomeno incomprensibile per cui, agenti del reparto celere, improvvisamente, in tenuta antisommossa, abbiano iniziato a caricare alla cieca fra i tavolini dei locali della movida famiglie, bambini, studenti ed occupanti dell’Askatasuna, proprio per far rispettare un’ordinanza della sindaca, i redattori di infoaut ricorrono alla teoria del complotto: “la sindaca, i suoi assessori e i suoi consiglieri continuano a cadere volentieri in (…) trappole, (…) innescate dalle opposizioni con polemiche sterili o (…) attrezzate con molta più furbizia da questura e prefettura”1 .
Anche se l’analisi di Infoaut non è del tutto ignara delle vere cause dei disordini, tutte legate alla gestione della crisi economica, i redattori sembrano non riconoscere che, qualunque sia il rappresentante provvisorio installato nei suoi parlamenti (anche se appoggiato dai più radicali fra gli anticapitalisti), “in tempi di crisi, lo Stato si ritrasforma in quello che era nei tempi del suo debutto storico: una banda armata”2 .
Le successive riflessioni sulla gentrificazione dei quartieri di San Salvario e Vanchiglia e sul “mercato enorme ”rappresentato dai consumi del “popolo della notte” proposte dal sito, per quanto non originalissime, sono condivisibili: è certamente vero che “le istituzioni non solo erano consapevoli (…), ma hanno investito scientificamente sulla trasformazione di queste zone di città per alimentare il capitalismo dei consumi che dopo la crisi dell’industria è diventato il paradigma centrale della nostra città.”
Ma ciò che non convince, dell’analisi dei centri sociali, è proprio il giudizio profondo sul fenomeno della movida, interpretato come una “sfera della vita, quella del divertimento, che dovrebbe essere serena e spensierata”, e che sarebbe invece compressa in alcune zone della città da imprenditori senza scrupoli e turbata ”dai corvi con le divise blu che setacciano le piazze”.
Il “popolo della notte”, che si riversa urlante ogni notte nelle strade della città (e del paese), non è affatto prerogativa dei quartieri gentrificati. Nelle periferie, anche in quelle più degradate come -per restare a Torino-, la Barriera di Milano, si assiste semplicemente ad una variante plebea della movida che ha le stesse caratteristiche di quella patrizia dei quartieri bene: gruppi di centinaia di persone che dissipano il tempo della propria esistenza fra schiamazzi, microcriminalità, partite di pallone e cori da stadio. Nulla di nuovo, se già nel 1961 ci si poteva imbattere nel fenomeno -e nella sua critica- fra le pagine di Internazionale situazionista: “La società dei consumi e del tempo libero è vissuta come società del tempo vuoto, come consumo del vuoto. La violenza che essa ha prodotto (…) costringe già la polizia di numerose città americane ad istituire un coprifuoco per i minori di diciott’anni” .
La movida è piuttosto un sintomo “sereno e spensierato” della decomposizione del capitalismo industriale e della società del lavoro. Il “popolo della notte” è anzitutto un popolo di disoccupati, una maschera di carattere della crisi economica. Il caso di Torino è, al riguardo, esemplare. La città, soltanto pochi anni fa, ai tempi della piena occupazione garantita dalla Fiat, era considerata una città grigia con un centro storico silenzioso come un bosco sperduto: la popolazione, irreggimentata dai ritmi di fabbrica, andava a letto non più tardi delle dieci di sera. Era il mondo in cui, secondo Vaneigem, la garanzia di non morire di fame era stata scambiata con il rischio di morire di noia. Nel mondo radicalmente diverso della movida, a forza di divertirsi, si tornerà presto a morire di fame.
Se “Il problema principale del capitalismo non è più lo sfruttamento, ma piuttosto la massa crescente di esseri umani ‘superflui’: di persone che non sono più necessarie alla produzione”3 , la movida è anche la tragica rappresentazione di come questi “superflui”, liberati involontariamente e dall’alto dal tempo di lavoro, consegnati alle “forme superiori di analfabetismo” (sempre Internazionale situazionista) garantite dall’insegnamento universitario, non soltanto non dimostrino maggiori qualità e intenzioni rivoluzionarie dei loro nonni proletari e dei loro padri piccoloborghesi; ma addirittura rivendichino il “consumo del vuoto” e la superfluità sociale come un diritto.
Si delinea quello scenario anticipato da Anselm Jappe, per cui “le persone, le regioni e le comunità che sono in grado di prendere parte ai ‘normali’ cicli di produzione e consumo, stanno diventando sempre più come ‘isole’ in un mare crescente di reietti che non vale più neanche la pena di sfruttare”4 . Reietti “sereni e spensierati”, che chiedono almeno il diritto ad una birra annacquata sottocosto. Un mondo in cui “alle popolazioni ‘superflue’ e tendenzialmente pericolose sarà destinato un miscuglio di nutrimento sufficiente e di intrattenimento, di entertainment abbrutente, per ottenere uno stato di letargia beata simile a quella del neonato che ha bevuto dai seni della madre. In altre parole, il ruolo centrale che svolge tradizionalmente la repressione per evitare i sovvertimenti sociali viene ormai largamente affiancato dalla infantilizzazione”4 .
Ecco perché, se la reazione alla gestione brutale e poliziesca della crisi è sacrosanta; la lotta per il “diritto alla movida” ha invece tratti francamente reazionari e contrari all’emancipazione.
Note:
1. http://www.infoaut.org/metropoli/movida-balbettii-e-manganelli-loro-parlano-di-polizia-noi-parliamo-di-bisogni
2. Anselm Jappe, http://www.palim-psao.fr/article-34399246.html
3.Anselm Jappe, http://francosenia.blogspot.it/2014/05/origini.html
4.Anselm Jappe, ibidem.
4.Anselm Jappe, http://www.exit-online.org/textanz1.php?tabelle=transnationales&index=4&posnr=157&backtext1=text1.php
Nota dell’autore:
Risposta alle polemiche su questo articolo in Movida, mea culpa?
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