1. Il capitale e il suo doppio
Il capitalismo sopravvive precariamente alla crisi della valorizzazione basandosi su capitale fittizio che alimenta bolle finanziarie destinate a scoppiare. Robert Kurz aveva avanzato questa tesi per spiegare che la crescita economica degli anni ’80 e ’90 era virtuale, costruita su montagne di debiti generati dall’anticipazione di un valore futuro che non sarebbe stato mai realizzato. Aveva continuato ad interpretare le vicende successive su questa base, trovando conferma nella successione ininterrotta di crisi finanziarie a livello mondiale.
Ernst Lohoff e Norbert Trenkle avevano partecipato a questa elaborazione, così come, in precedenza, alla definizione della teoria del soggetto automatico e della crisi della sua capacità di creare valore a causa della irreversibile prospettiva della scomparsa del lavoro. Il loro rapporto con Kurz si era poi rotto sul piano personale e su quello teorico. Pur non allontanandosi dalla teoria del soggetto automatico, avevano concentrato l’analisi sul capitale fittizio, convinti che la sopravvivenza del capitalismo alla crisi della valorizzazione dovesse essere attribuita alla capacità della sfera finanziaria “di produrre, in qualche modo, una forma peculiare di moltiplicazione del capitale che permette di sostituire, transitoriamente, l’accumulazione di plusvalore”. La sua drammatica crescita non poteva essere attribuita “ad una mera distribuzione e mobilitazione del plusvalore già accumulato”.1
Questa loro ricerca ha dato luogo al volume La grande svalorizzazione,2 presentato in Germania nel 2012, anno in cui Kurz ha pubblicato il suo ultimo libro Denaro senza valore,3 facendo emergere una divaricazione di posizioni, poi oggetto di un confronto tra due anime della Critica del valore che dura tuttora, in assenza di Kurz deceduto quello stesso anno. Il contendere riguarda l’individualismo metodologico come approccio di analisi, che già in passato Kurz aveva duramente contestato a Lohoff,4 sostenendo che partendo da dati e processi empirici ci si priva della possibilità di risalire alle cause e, soprattutto, di comprendere teoricamente il capitalismo nella sua sostanza totalizzante.
L’esposizione che segue riguarda l’analisi del capitale fittizio sviluppata da Lohoff ne La grande svalorizzazione (Trenkle si occupa nel libro del soggetto automatico).
Marx considera capitale fittizio un prestito di denaro funzionale alla valorizzazione, che viene restituito attingendo al plusvalore realizzato. Se la valorizzazione non ha luogo, il debito rimane insoluto e costituisce capitale fittizio ‘in senso stretto’, destinato a svalutarsi. Questo approccio si concentra sul circuito del capitale. Quel che avviene nel circuito finanziario è, rispetto ad esso, secondario, sostiene Kurz. Ad esempio, erogando crediti si creano debiti che possono sostenere una domanda e una produzione di merci, ma, se i debiti non vengono ripianati, i crediti si addensano in bolle finanziarie, e quando scoppiano non resta niente di quel che era stato generato sulla loro base.
Lohoff affronta invece il problema partendo dal circuito finanziario. Pone l’enfasi su un aspetto per Kurz secondario, la ‘duplicazione’ del denaro che avviene nella creazione di capitale fittizio. L’aveva messo in evidenza Marx, affermando che in una relazione di credito ‘la stessa somma di denaro esiste doppiamente come capitale per due persone”. Il creditore non la consegna materialmente, ma emette un titolo che, se da un lato attesta la sua pretesa al rimborso e alla acquisizione di interessi a scadenze prestabilite, dall’altro consente a chi lo detiene di utilizzarlo senza altri vincoli. Il titolo, che Marx definisce “riflesso autonomizzato del capitale-denaro reale”, è capitale fittizio in quanto contiene la promessa di essere utilizzato per la valorizzazione e rimborsato con parte del plusvalore realizzato.
Il capitale fittizio ha due forme basilari, i titoli di debito e le azioni.
I titoli di debito sorgono al momento in cui viene concesso un credito (prestiti a società, titoli del Tesoro, ipoteche immobiliari, semplici libretti di risparmio) ed implicano il loro rimborso alla scadenza oltre alla corresponsione di interessi finché restano in vita. I più importanti sono i titoli del Tesoro che costituiscono debiti per lo Stato. Sono venduti al prezzo di emissione sul mercato finanziario primario, con l’impegno di rimborsarli alla scadenza e, fino ad allora, a pagare interessi. Il denaro incassato dallo Stato viene speso e non esiste più, ma continua a circolare incorporato nel titolo, che può essere venduto sul mercato secondario. Pur non essendo legato ad una prospettiva di valorizzazione, il titolo viene garantito dalla capacità giuridica che ha lo Stato di attingere alla ricchezza sociale imponendo imposte e tasse o alienando beni pubblici.
Le azioni, invece, non creano indebitamento e pretese di rimborso. Sono emesse da una impresa per finanziarsi, e vengono acquistate sul mercato finanziario primario al prezzo di emissione. Attribuiscono al portatore diritti a ricevere dividendi – formalmente una frazione del plusvalore che l’impresa realizza – e a volte a compartecipare a forme di gestione dell’impresa. Nonostante non sia previsto il rimborso, nel circuito finanziario il titolo continua a rappresentare la somma versata per acquistarlo che dà diritto a percepire i dividendi e che può far da riferimento per il movimento dei prezzi sul mercato secondario, dove può anche essere realizzata con la sua vendita.
I titoli di debito si estinguono con il rimborso, reso possibile anche da contestuali emissioni di nuovi titoli che rinnovano il rapporto tra creditori e debitori. Le azioni si estinguono invece con il loro ritiro dal mercato. Tutti i titoli si svincolano dall’origine dei mercati primari e circolano nei mercati finanziari secondari dove i prezzi si autonomizzano rispetto a quelli originari che fanno solo da riferimento. Tutti procurano rendimenti al portatore (interessi, dividendi) e ricavi positivi o negativi al momento della vendita. Sono liquidi se sono immediatamente cedibili contro denaro.
Il sistema finanziario si erge sul principio della ‘duplicazione’ della quantità di denaro che un investitore anticipa ad un soggetto reale (banca, impresa, Stato) in cambio del titolo che definisce i suoi diritti nel rapporto contrattuale. “L’emancipazione del capitale come attivo finanziario – scrive Paul Dembinski, un economista che si occupa di finanza – ha stimolato l’emergenza, nel magma della realtà tangibile e non tangibile, di un numero infinito di oggetti finanziari. Questi ‘oggetti’ traggono la loro esistenza dal solo fatto che sono nel contempo matematizzabili e radicati in uno spazio giuridicamente coerente di diritti, doveri o convenzioni. Esistono dunque in quanto derivati dalla realtà che li contiene. Perciò, all’estremo, tutti gli elementi della realtà possono essere introdotti nello spazio teorico e pratico della finanza”.5
Lohoff ricorda che, in quanto capitale fittizio, i titoli incorporano la promessa di disporre di nuovo valore futuro con cui far fronte a interessi o dividendi e, ove previsto, al rimborso. Questo incorporamento “produce una sorta di ricchezza capitalistica che non è per nulla meno reale della variante della ricchezza capitalistica fondata sullo sfruttamento effettivo del lavoro vivo”.6 Lohoff definisce ‘capitale’ questa ricchezza. “Si tratta certamente di capitale supplementare che è capitale fittizio, ma la sua funzione nell’economia globale non differisce da un capitale risultante da una valorizzazione reale”.7
Sulla attribuzione al titolo della qualità di capitale si scatena la critica a Lohoff di individualismo metodologico. Dalla realtà empirica trarrebbe conclusioni che contraddicono l’assunto teorico condiviso dalla Critica del valore che il capitale non può essere altro che sostanza di valore. Lohoff si difende su due fronti: attaccando la rigidità dell’approccio di Kurz, e sostenendo che la propria tesi è riconducibile al quadro teorico del soggetto automatico.
Kurz, secondo Lohoff, concepisce il valore come “sostanza filosofica pseudosensibile”. Un “inquietante pensiero dialettico della totalità” lo porta a ricondurre il capitalismo “ad una base di energia sociale globale”.8 I titoli però si diffondono proprio perché “nella sua sete di cambiare tutta la ricchezza in ricchezza mercantile, il capitale non si accontenta del farsi merce della ricchezza materiale sensibile, e fa un passo avanti nella sua forma di denaro per trasformarsi in merce”.9
I titoli per Lohoff sono merci di tipo particolare, ‘merci derivate’ o ‘merci di ordine 2’, essendo ‘merci di ordine 1’ quelle che concorrono alla ricchezza capitalistica globale “nella misura in cui ‘incarnano’ il valore, ossia il lavoro passato”.10
La produzione delle merci 1 si basa sullo sfruttamento della forza lavoro, la cui attività come lavoro vivo genera plusvalore e attribuisce loro valore. La loro circolazione sul mercato dei beni e servizi non aggiunge valore, ma, con la vendita, lo riconosce come parte della ricchezza sociale. Le merci 2, a differenza delle merci 1, sono sprovviste di ogni componente sensibile-materiale. Sorgono sul mercato finanziario solo al momento in cui il denaro dell’investitore si scambia con il titolo che acquisisce – scrive Lohoff – il valore d’uso di capitale. “L’esistenza di merci 2 dispensa il singolo capitalista finanziario dall’acquistare e sfruttare la forza lavoro dandogli una soluzione alternativa per aumentare il proprio capitale”.11
2. Il ‘capitalismo invertito’
Se le merci di ordine 1 sono valore in quanto lavoro oggettivato e le merci di ordine 2 sono promesse di valore, “la creazione di titoli monetari non è per nulla identico alla formazione del valore: aumenta piuttosto la ricchezza capitalistica nella misura in cui ha lo scopo di produrre capitale supplementare”. Nel tentativo di dare al capitale fittizio una collocazione teorica nell’alveo del soggetto automatico, Lohoff sostiene che “il legame con la valorizzazione e il consumo di lavoro non è per nulla interrotto”,12 si è soltanto invertito il rapporto tra capitale e capitale fittizio. “Nel mondo meraviglioso delle merci di ordine 2 l’ordine cronologico che caratterizza il capitale in funzione è capovolto. Nella forma deviata assunta dal capitale fittizio, il lavoro vivo può vedersi stranamente capitalizzato prima di essere speso e aumentare la riserva di capitale sociale”.13
Che si possa capitalizzare il ‘lavoro vivo’ “prima di essere speso”, è logicamente insostenibile dal momento che il ‘lavoro vivo’ non esiste se non quando è in attività. Ciononostante Lohoff si spinge oltre: “Ne consegue che la ‘sostanza’ del capitale fittizio è egualmente lavoro astratto, con la differenza che il lavoro non è stato ancora consumato e rimane sospeso, posto che venga mai attivato. Considerate al livello dell’insieme del capitalismo, le ‘merci di ordine 2’ realizzano l’impresa di capitalizzare il valore futuro non ancora realizzato”.14
La tesi di Lohoff è che in questo modo il capitale fittizio crea la ricchezza che prolunga temporaneamente la vita al soggetto automatico.
A differenza dei mercati dei beni e servizi in cui di norma la relazione tra prezzi e domanda è inverso, nei mercati finanziari la relazione è diretta, e all’aumento dei prezzi dei titoli aumenta la domanda, spesso amplificata dal ricorso al credito. Se, per chiarezza, definiamo in termini di ‘plusvalenza’ l’incremento di denaro risultante dalla vendita del titolo, e di ‘rendimento’ l’interesse e il dividendo percepito nel corso della sua vita, cogliamo la potenzialità di produrre ricchezza monetaria nella circolazione finanziaria. Ma, attribuendo al titolo un valore d’uso di capitale, Lohoff, guarda oltre la sfera finanziaria, al circuito del capitale e alla potenzialità delle merci 2 di generare merci 1, ovvero di contribuire ai processi di valorizzazione.
Dimentica però un passaggio essenziale. Per essere ‘capitale’ il titolo deve trasformarsi in denaro e il denaro deve unificare condizioni di produzione e forza lavoro per la produzione di merci. La capacità del titolo di contribuire alla valorizzazione deve passare attraverso la sua manifestazione in prezzo e la sua preventiva trasformazione in denaro, con un prezzo che, rispetto a quello del mercato primario, riflette la plusvalenza e il rendimento. Fin qui ciò che si accresce è la ricchezza monetaria. Questa deve poi ritrasformarsi in capitale fittizio nel circuito della valorizzazione per supplire alla carenza dei profitti da investire. L’emissione di azioni sono necessarie all’impresa che le mette in circolazione per acquistare macchine e pagare salari; l’emissione di titoli del Tesoro sono necessari allo Stato per costruire strade. Questi titoli sono strumenti di mobilitazione del denaro affinché diventi capitale. E’ così che “la crescita del capitale è diventata una variabile subordinata alla crescita del capitale fittizio”.15
L’industria finanziaria è al centro del nuovo regime di accumulazione in quanto produce nuove risorse, nel contesto del capitalismo invertito, “ultima forma storica che si può immaginare nel quadro del sistema di valorizzazione del valore”.16 Senza l’autonomizzazione dei mercati finanziari e la moltiplicazione dei titoli, la crisi di sovra produzione strutturale degli anni ’70 non sarebbe mai stata superata, e il lungo boom postfordista degli anni ’80 e ’90 non si sarebbe verificato. Il ‘capitale supplementare’ ha mascherato la distruzione della base della valorizzazione e, con essa la crisi del capitale-denaro legato ai profitti.
Nel capitalismo invertito l’accumulazione del ‘capitale’ e la valorizzazione reale si separano, ma entrambi i processi devono manifestarsi con una quantità aumentata di merci. Nel caso delle merci 1, il valore che incorporano si trasmette a nuove merci attraverso il loro valore d’uso, fino alla merce forza lavoro che producendo nuovo valore contribuisce all’aumento della massa complessiva di capitale sociale. “Questa potenziale immortalità che caratterizza il capitale in funzione è estranea al capitale fittizio”.17 Le merci 2 infatti cessano di esistere quando viene meno il loro valore d’uso, che è quello di duplicare temporaneamente con una promessa di valore il capitale che le ha create. La loro produzione avviene a ritmi diversi e in misura incomparabilmente maggiore rispetto a quella delle merci che sono espressione di valore.
Lohoff distingue il capitale fittizio tra ‘coperto’ e ‘scoperto’. È coperto quando si realizza la promessa di valorizzazione implicita in un titolo, e il titolo si estingue in quanto l’anticipazione trova copertura. Il bisogno di questo capitale fittizio coperto aumenta con lo sviluppo delle forze produttive che riducono il lavoro e il profitto. Invece il capitale fittizio scoperto, costituito da debiti che non vengono ripagati perché la valorizzazione non avviene, ha bisogno per restare attivo della copertura provvisoria di nuovo capitale fittizio. Perciò una massa di nuovi titoli deve far fronte al servizio del debito e al rinnovo di quelli in scadenza, con una crescita complessiva esponenziale. “L’accumulazione capitalistica globale supera l’accumulazione coperta da una precedente valorizzazione”.18
La moltiplicazione di capitale fittizio scoperto è però precaria, perché con il contrarsi della valorizzazione che è alla base dell’emissione dei titoli, si riduce il loro ancoramento. “La dinamica del capitale fittizio incontra presto o tardi i suoi limiti dal momento che il processo di crisi che sta alla sua base non può essere mascherato ad vitam aeternam dall’espansione dell’industria finanziaria (…). Al livello oggi raggiunto dalle forze produttive il capitalismo non può più funzionare se non come capitalismo invertito, e se questa sua forma storica – in sé contraddittoria – diventa insostenibile, allora lo stesso modo di produzione capitalistico è diventato insostenibile”.19
Il capitalismo invertito è “in definitiva tra le più grandi rivoluzioni della storia del capitalismo”,20 ma passando attraverso l’inversione tra valorizzazione e capitalizzazione, ci si ritrova nell’ambito teorico della fine del soggetto automatico. Kurz aveva liquidato troppo rapidamente i processi finanziari evocando la mera virtualità di quella ricchezza e la sua scomparsa con lo scoppio delle bolle. Lohoff con la sua “critica dell’economia politica del capitale fittizio”21 ha approfondito l’analisi, per l’esigenza di spiegare la persistenza temporanea del capitalismo oltre la enunciata crisi della valorizzazione. E’ arrivato alla conclusione che “quando i limiti dell’anticipazione del valore sono raggiunti, si verifica una gigantesca svalorizzazione del capitale fittizio che fa non solo mostrare la crisi strutturale sottostante, ma deve anche manifestarsi nella forma della svalorizzazione del denaro”.22 Il capitale fittizio si svalorizza in quanto promessa di valore che non può più svolgere la funzione di ‘capitale supplementare’. Il denaro si svalorizza in quanto viene definitivamente meno la sua capacità di rappresentazione del valore.
3. Il capitale fittizio nella fase fordista
Il capitale fittizio privato coperto ha una funzione rilevante nell’allargamento estensivo e intensivo della produzione, quando il capitale-denaro originato dal plusvalore non è sufficiente per proseguire nella valorizzazione. Ne stimola la concentrazione necessaria per lo sviluppo delle grandi imprese, dalle miniere alle ferrovie prima, poi quelle chimiche e elettromeccaniche. Per renderla possibile il settore bancario si espande e si concentra rimpiazzando le banche private locali. Poi si trasforma in settore finanziario passando dalla intermediazione bancaria per la concessione di crediti all’organizzazione del finanziamento delle imprese sul mercato borsistico con l’emissione su larga scala di titoli azionari.
Nella funzione di locomotiva dell’accumulazione, che esercita fino alla fine della fase fordista, il capitale fittizio è temporalmente anteposto a quello produttivo, con la differenza – rispetto all’attuale capitalismo ‘invertito’ – che il motore dell’accumulazione è il capitale produttivo, che viene aiutato nella sua espansione dal capitale fittizio. Alla mobilitazione del denaro privato si aggiunge lo Stato, che, al fine di contribuire all’apertura di nuovi settori e nuovi mercati, impegna risorse pubbliche realizzando infrastrutture fisiche e sociali e creando imprese in regime di monopolio. Fa fronte alle spese non coperte dalla fiscalità con l’emissione di titoli del Tesoro.
Nella crisi del 1929 la gigantesca distruzione di titoli privati “rivela a quale punto la capitalizzazione anticipata della produzione del valore futuro è diventata fragile”.23 La ripresa dell’accumulazione, una volta svalorizzato il capitale sovra accumulato, richiede investimenti che superano le capacità private. L’intervento dello Stato acquista una dimensione generale di rilancio dell’economia con una politica attiva di spese pubbliche. Sospesa la convertibilità della moneta, abbandonato l’equilibrio di bilancio, rilancia la domanda.
Con il deficit spending pone in essere un sistema complessivo di creazione di capitale fittizio, agendo su due fronti. Dal lato dell’offerta mobilita le istanze pubbliche indebitandosi attraverso l’emissione di titoli. Dal lato della domanda, li fa acquistare dalla banca centrale che, a sua volta, ne facilita l’acquisto da parte delle banche d’affari, creando anche le condizioni affinché possano allargare il credito ai privati.
Con la ‘nazionalizzazione’ del capitale fittizio “le banche centrali sono promosse al rango di prestatori di tutti i prestatori, in grado di controllare l’ampiezza globale dei titoli e di esercitare una funzione decisiva sull’approvvigionamento in capitale-denaro delle rispettive zone monetarie”.24 Modificando il tasso di interesse possono ampliare o restringere la produzione di capitale fittizio, ma resta fuori dalla loro sfera di azione l’allocazione delle nuove risorse tra i diversi capitali e in funzione della loro effettiva capacità di produzione di valore. Le potenzialità di rilancio e di espansione del capitale privato sono però enormi. I debiti dello Stato non hanno copertura diretta; possono però averne in via indiretta se stimolano una valorizzazione dei capitali privati che accresce il flusso fiscale. Questo è ciò che succede nella fase di accumulazione fordista “ed è solamente per questo che il programma keynesiano funziona così bene”.25
La strada delle soluzioni nazionali finisce però col porre limiti all’accumulazione. Vengono superati con gli accordi di Bretton Woods, che stabiliscono un legame generale delle monete con l’oro. Gli Stati Uniti mettono in circolazione nel mondo un’enorme massa di dollari che stimola l’attività produttiva e genera mercati monetari – eurodollari e petrodollari – nei quali la produzione di capitale fittizio – fino allora essenzialmente circoscritto allo spazio economico nazionale e al settore privato interno – si allarga a livello mondiale, generando interesse a convogliare i profitti sugli investimenti finanziari. La politica keynesiana dei tassi di interesse bassi stimola la produzione di titoli da parte delle banche di investimento che si rifinanziano da quelle centrali.
Finché il ‘capitale-denaro supplementare’, quello fittizio, viene assorbito dalla valorizzazione, i tassi di inflazione sono modesti. Con l’aumento della produttività, il restringimento della base della valorizzazione a causa della riduzione della massa di lavoro e la diminuzione dei profitti, il capitale fittizio si trova scoperto. Lo sganciamento dall’oro elimina i vincoli all’emissione di moneta. I tassi di inflazione aumentano e così il debito pubblico. L’alternativa keynesiana di crescita forte e inflazione moderata versus crescita debole e stabilità monetaria è superata dalla stagflazione, crescita molto debole e inflazione. La fase fordista è chiusa.
4. Il capitalismo a perdere
Con la crisi del fordismo la capacità già insufficiente del capitale funzionante di utilizzare in maniera produttiva il lavoro vivo diminuisce ancora. Il vuoto deve essere colmato con la produzione di titoli, ma, parallelamente, “si abbassa il grado di efficienza di questa produzione nel sostenere l’economia reale”.26 Il capitale fittizio resta sempre più spesso scoperto. Questo non significa che tutti i capitali siano incapaci di onorare gli impegni, ma i mezzi per farlo provengono sempre meno dalla produzione di valore, e sempre più dai guadagni realizzati in borsa e dall’emissione di nuovi titoli.
Per attutire la sovra accumulazione e la svalorizzazione delle merci, una parte sempre più grande del capitale fittizio generato dal concorso dello Stato e della banca centrale non è più orientato agli investimenti bensì ai consumi. I bassi tassi di interesse incentivano il ricorso generale al credito, e per la prima volta nella storia del capitalismo il consumo privato diventa un riferimento importante per la produzione di capitale fittizio. “Entrando nell’economia reale il capitale-denaro perde così in proporzioni sempre più grandi il carattere di capitale e vegeta come semplice mezzo di circolazione supplementare rispetto alle merci 1, senza essere accompagnato da un allargamento della produzione di valore”.27
Un’altra parte di capitale fittizio rilancia però la produzione, e contribuisce al fiorire delle imprese con le quali si realizza la terza rivoluzione industriale. “Se è vero che la creazione di titoli di proprietà non genera alcun valore – ripete Lohoff – cionondimeno genera capitale-denaro che ha pieno corso. Questo capitale fittizio ha per ‘sostanza’ il valore ancora da produrre, del lavoro produttivo ancora da realizzare”.28 Così si rinvia la crisi economica. “In ultima istanza tutti i titoli di proprietà rimandano ad un punto di riferimento qualunque, situato nel futuro dell’economia reale. Può trattarsi di profitti attesi di un capitale in funzione, dei prelevamenti futuri di imposte da parte dello Stato o, ancora, come nel caso dei crediti ipotecari del boom immobiliare negli Stati Uniti, dell’’aumento del valore’ scontato delle case individuali”.29 Contribuisce anche la moltitudine di titoli derivati che si cumulano gli uni sugli altri. Non possono però prescindere dalla base reale su cui si fondano quelli originari e risalendo la scala il loro rendimento è sempre più limitato ed il rischio è sempre più alto.
L’era del trionfo della moltiplicazione dei titoli è inaugurata dalle politiche di Margaret Thatcher e Ronald Reagan. Aumentano i tassi di interesse, tagliando drasticamente l’inflazione e richiamando denaro nel settore finanziario. Abbassano le imposte liberando denaro, che viene investito in titoli. Modificano la legislazione pensionistica per incentivare gli impieghi in borsa. Offrono occasioni di investimento con la privatizzazione delle infrastrutture e delle imprese pubbliche. Deregolamentano il settore finanziario creando le condizioni per il lancio e la moltiplicazione dei titoli derivati. Con la cartolarizzazione la produzione di capitale fittizio si installa nel cuore dell’industria finanziaria, allontanandosi sempre più dall’economia reale.
Con l’aumento stratosferico del tasso di interesse il flusso del capitale transnazionale a Wall Street fa degli Stati Uniti il centro dell’industria finanziaria globale. Il suo doppio deficit strutturale, del bilancio e delle partite correnti, lancia un processo che Lohoff definisce di accumulazione primitiva del capitale fittizio da parte dei creditori che forniscono le merci agli Stati Uniti. “Al debito con l’estero dello Stato o delle imprese statunitensi corrisponde un aumento della fortuna monetaria dei creditori europei e asiatici”,30 che accettano con entusiasmo come contropartita i titoli statunitensi, il cui valore futuro è garantito dal dollaro.
I paesi capitalisti del centro seguono lo stesso cammino, partecipando alla creazione dell’industria finanziaria transnazionale con l’offerta all’interno dei propri spazi monetari di condizioni non troppo svantaggiose rispetto agli Stati Uniti. Favoriti dalla deregolamentazione si formano altri vivai di titoli.
“Dietro i circuiti deficitari non c’è altro che uno scambio tra le regioni del mondo delle merci 1 contro le merci 2, uno scambio che diventa motore centrale della congiuntura mondiale. Il nuovo slancio che si instaura nel processo della rivoluzione neoliberale traccia la linea al di là della quale l’accumulazione di ‘capitale reale’ diventa una variabile dipendente dall’accumulazione di crediti monetari”.31
Questa riorganizzazione dei rapporti provoca una fase di accumulazione accelerata auto sostenuta di titoli nel settore privato che porta al boom della nuova economia. Al suo crollo Stato e banca centrale tentano di rilanciare il capitale privato con bassi tassi di interesse e deficit spending. Ma con la crisi successiva dei subprime devono assumersi una funzione complessiva di sostituzione. Non si ripropone più l’intervento keynesiano di stimolo alla domanda reale, ma una sorta di ‘keynesismo di salvataggio’ dell’industria finanziaria. “Si tratta essenzialmente di socializzare le perdite e nazionalizzare le prospettive di guadagni futuri dell’economia privata, che si erano dissolte con lo scoppio delle bolle”.32
Il capitalismo invertito tira avanti finché da un periodo all’altro la massa di capitale fittizio può riprodursi su scala esponenziale. Le bolle che scoppiano sono rimpiazzate da nuove bolle più grandi. Per tentare di arrestare questo processo le banche centrali si trasformano in bad banks, siti di stoccaggio di titoli privati non più realizzabili, e creano denaro fresco come contropartita dei titoli rifiutati dal mercato.
E’ una situazione nuova che si manifesta su vasta scala con la crisi del 2008. Lo Stato è obbligato alla continua produzione ti titoli per far fronte al servizio del debito e per differire la svalorizzazione del valore futuro. I livelli crescenti di indebitamento sono tali da mettere in crisi la possibilità di riferirsi ad essi come hope of last resort. Se la riproduzione del capitale fittizio pubblico si contrae su scala transnazionale, il sistema tracolla.
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Note:
1. Lohoff E., Per una discussione su La grande svalorizzazione e Denaro senza valore, blackblog.francosenia, 2 giugno 2017, da Krisis, 14 maggio 2017.
2. Lohoff E., Trenkle N., Die große Entwertung, Münster, Unrast, 2012: trad. francese La grande dévalorisation, Rotterdam, Post-Editions, 2014.
3. Kurz R., Geld ohne Wert, Berlin, Horleman, 2012.
4. Kurz R., Il disvalore dell’ignoranza, blackblog francosenia, 31 ottobre 2014.
5. Dembinski P.H. (2008), Finance servante ou finance trompeuse?, Parole et Silence, Paris, p. 86.
6. Lohoff E., Trenkle N., La grande dévalorisation, Rotterdam, Post-Editions, 2014. P. 136.
7. Ivi, p. 154.
8. Lohoff E., Per una discussione…, cit.
9. Lohoff E., Trenkle N., La grande dévalorisation, cit., p. 136.
10. Ivi, p. 142.
11. Ivi, p. 157,
12. Ivi, p. 161.
13. Ivi, p.162, corsivo nell’originale.
14. Ivi.
15. Ivi, p. 240.
16. Ivi, p. 242.
17. Ivi, p. 284.
18. Ivi, p. 158.
19. Ivi, p. 242-3.
20. Ivi, p. 240.
21. Lohoff E., Per una discussione…, cit.
22. Lohoff E., Trenkle N., La grande dévalorisation, cit., p. 20.
23. Ivi, p. 199.
24. Ivi, p. 217.
25. Ivi, p. 230.
26. Ivi, p. 290.
27. Ivi, p. 257.
28. Ivi, p. 262, corsivo nel testo.
29. Ivi, p. 263.
30. Ivi, p. 254.
31. Ivi, p. 255.
32. Hutter R., La borne interne du capitalism. Entretien avec Ernst Lohoff, Neues Deutschland, 13 dicembre 2012.
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