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Al di là del lavoro, la vera vita

Pubblichiamo qui la bella introduzione di Willy Gianinazzi al libro da lui curato “Il filo rosso dell’Ecologia”, uscito per i tipi di Mimesis nel settembre 2017, con traduzione del nostro Riccardo Frola, e dedicato al pensiero di André Gorz. L’edizione italiana riprende, integrandola, quella francese, “Le fil rouge de l’écologie. Entretiens inédits en français”, uscita sempre a cura di Willy Gianinazzi per le Editions de l’Ehess, Paris 2015. Ci sono alcuni inediti di Gorz e un’importante intervista con lo studioso austriaco Erich Hörl. I temi dibattuti nel libro sono tuttora al centro del dibattito più interessante che ha di mira il superamento del capitalismo e della forma merce. Soluzioni come “reddito di cittadinanza” o di “esistenza”, oppure che si ispirino al modello “software libero” o della decrescita, meritano, crediamo, tutta la nostra attenzione. Crediamo però anche che la “critica del valore”, in particolar modo grazie alla riflessione di Robert Kurz ma non solo, abbia saputo già chiarire molti aspetti di queste proposte e messo in condizioni di non doverci incamminare, provando a percorrerle o soltanto verificandone la consistenza, verso false vie d’uscita.

Redazione

AL DI LÀ DEL LAVORO, LA VERA VITA

La prima opera di André Gorz, Il traditore (1958),1 è un romanzo autobiografico, incensato da Jean-Paul Sartre. L’ultima opera pubblicata da vivo, quella che ha fatto conoscere Gorz al grande pubblico, Lettera a D. (2006),2 è un commovente e autocritico racconto della sua vita amorosa; è l’opera che ha preceduto di poco il suicidio del suo autore, avvenuto nella notte del 22 settembre del 2007, all’età di ottantaquattro anni, insieme alla compagna. Le due pubblicazioni sono separate da un periodo di quasi cinquant’anni, nel corso del quale Gorz ha maturato, con il susseguirsi di libri impegnati di natura filosofica e sociopolitica, una riflessione esistenziale – ispirata originariamente a Jean-Paul Sartre ed Edmund Husserl – sul senso di una vita ostacolata dalla «megamacchina» capitalista, che riduce l’essere umano alle sole funzioni del lavorare e del consumare. Grazie a questo partito preso, che concepisce il soggetto – collettivo o individuale che sia – come la costruzione di sé attraverso la ricerca di autonomia contro il sistema che lo aliena, Gorz ha ottenuto nel corso del tempo un seguito considerevole negli ambienti più diversi.
In ordine cronologico: presso i sindacalisti della CFDT prima maniera,3 fra i sostenitori dell’autogestione del Partito socialista unificato,4 presso gli economisti radicali americani, gli ecologisti francesi e tedeschi, i socialdemocratici svedesi, tedeschi e svizzeri, e infine nel mondo universitario del Brasile, paese dove fioriscono monete locali ed esperienze cooperative comunitarie. In Francia, Gorz ha giocato un ruolo di proposta politica e sociale importante, che ha raggiunto il suo apogeo negli anni settanta, durante i quali l’autore è stato un pioniere dell’ecologia politica, negli anni ottanta e novanta in cui ha sostenuto il movimento dei disoccupati e dei precari con lo scopo di ridurre massicciamente il tempo di lavoro, e infine nei primi anni duemila, quando ha tentato di orientare la riflessione radicale verso le potenzialità offerte dall’accesso gratuito al sapere digitalizzato. Da un punto di vista teorico, Gorz è stato costantemente in dialogo con i suoi amici Herbert Marcuse e Ivan Illich, con gli operaisti italiani, con il sociologo Alain Touraine, con gli eredi della scuola di Francoforte (in particolare Jürgen Habermas, Claus Offe, Oskar Negt ed Axel Honneth), per poi appassionarsi, alla fine della sua vita, alla nuova critica marxista del valore (Moishe Postone, Robert Kurz, ecc.).
In Italia, il suo destino è stato singolare. La traduzione nel 1960 de La morale della storia (1959),5 che diffondeva un marxismo umanista, ricevette da subito una buona accoglienza, superiore persino, secondo Gorz, a quella ottenuta in Francia. Ma la sua opera successiva, Stratégie ouvrière et néocapitalisme (1964)6 non fu mai tradotta, per quanto riportasse temi politici e sindacali cari a Lelio Basso (dello PSIUP), Bruno Trentin (della FIOM) e Vittorio Foa (della CGL), con i quali l’autore era allora in relazione. Gorz li incontrò spesso in Italia all’epoca dei suoi reportage giornalistici. Nel 1963, era in vacanza sulle spiagge della Puglia con Trentin, che lo iniziò alla scalata delle scogliere… Era soprattutto la sua teoria dei «bisogni autonomi» – che fonda l’esigenza del socialismo – a restare stra­namente nell’ombra in Italia. Eppure, negli anni settanta, fu diffusa e pubblicata in italiano – e in anteprima, grazie al fenomenologo marxista Pier Aldo Rovatti – una teoria molto simile, quella dei «bisogni radicali» della scuola di Budapest (Ágnes Heller).7 Fu invano che nel 1974 Rovatti tentò di riservare un posto a Gorz in una collana militante che dirigeva presso Feltrinelli, i celebri «Opuscoli marxisti» (che pubblicarono testi di Antonio Negri). Dopo il ’68 Gorz intrattenne strette relazioni con il gruppo de Il Manifesto (Rossana Rossanda, Lucio Magri, ecc.) e poi di Lotta continua (Gianni e Adriano Sofri, Guido Viale), pubblicando articoli sui loro organi e accogliendo loro testi sulla rivista di Sartre, «Les Temps modernes». Gorz venne qualche volta in Italia a tenere delle conferenze, ma più per sostenere la lotta dei Vietnamiti contro l’imperialismo americano che per presentare le sue teorie.
La persistente attualità di André Gorz è dovuta anche al fatto che la sua critica sociale affronta l’onnipresente ragione economica analizzandola minuziosamente, arrivando fino a quelle implicazioni che invadono la vita quotidiana e distruggono l’ambiente. Gorz ha dimostrato fino a che punto questa razionalità sia irrazionale, con la sua logica ossessiva e «feticista» della crescita. E ha anche previsto, dopo aver annunciato lo scoppio inevitabile della bolla finanziaria, l’andamento caotico del capitalismo di oggi, caratterizzato dalla sottomissione dell’economia reale e dello Stato previdenziale ai diktat della finanziarizzazione.
La sua utopia, sviluppata nelle Metamorfosi del lavoro (1988),8 parla di una nuova civilizzazione in grado di padroneggiare i tempi della vita e il lavoro. Gorz pretendeva di fondare questa civilizzazione sulle possibilità concrete che si offrono alle moltitudini mondiali che, per parafrasare una formula celebre, sperimentando localmente pensano globalmente a nuovi modi di vivere e di sostentarsi. Le tappe di questa utopia, basate su una critica del lavoro contemporaneo ormai ridotto o degradato a impiego qualsiasi, possono riassumersi in poche parole: limitare il più possibile la quantità di tempo dedicata a produrre i beni necessari nel quadro della produzione complessa e ipertecnologica di oggi, e ripartirla fra tutti; permettendo così a tutti di usufruire di tempo libero da dedicare a se stessi, alle attività socialmente utili ma anche ad attività autonome individuali o collettive – facilitate dalla circolazione digitale del sapere –; e infine, come Gorz ha dettagliato in Miserie del presente, ricchezza del possibile (1997),9 mettere fine alla dipendenza della vita dal lavoro tramite una ridistribuzione delle ricchezze e l’introduzione di un reddito garantito, sufficiente e incondizionato: un reddito che serva ad operare senza costrizioni, e non un reddito che costringa a lavorare per ottenerlo.
La società dell’autonomia alla quale Gorz si richiama, fin dal suo manifesto ecologista Ecologia e libertà (1977),10 è anche una società del buon vivere e della sobrietà, perché non più sottomessa agli imperativi capitalisti della competizione, del profitto, della crescita e del consumo: tutti fattori di scollamento sociale, di degradazione della biosfera e delle sue risorse. L’epicureismo di Gorz salta subito agli occhi: si tratta di gioire di ciò che è sufficiente, in funzione di quei bisogni che, sovranamente, si è deciso di darsi. È questa la «vera vita» o, come dicono oggi gli obiettori della decrescita, la «buona vita». Quanto all’ecologia che Gorz riteneva dovesse accompagnare quest’uscita dal capitalismo, è necessario chiarire che non si tratta di quelle politiche dello sviluppo durevole che non fanno che rilanciare, tramite l’eco-business, la macchina economica della crescita-distruzione; ma di politiche del dopo crescita che abbandonino, come motore e misura della ricchezza, le logiche quantitative o monetariste in favore di norme qualitative o conviviali.

La penna e il magnetofono

Gorz aveva un rapporto singolare con la scrittura e con la parola.11 Da giovane, riempiendo con una scrittura densa e minuta centinaia di pagine alla luce della notte per otto o nove anni, Gorz, che così edificava i suoi Fondements pour une morale,12 si era impedito, con questa mania nevrotica, di vivere; eppure questa mania era stata allo stesso tempo la sua salvezza, gli aveva permesso di vivere per la scrittura e di mantenersi a distanza dall’idea del suicidio che concepiva già allora. Gorz scriverà quindi per tutta la vita, eserciterà il mestiere di giornalista – nel quotidiano conservatore «Paris-Presse», nel settimanale vicino a Pierre Mendès France «L’Express» e infine nel settimanale di sinistra «Le Nouvel Observateur» –, di redattore – nella rivista fondata da Sartre «Les Temps modernes» – e non cesserà di produrre testi autobiografici – di cui alcuni lasciati inediti. Autodidatta ed esterno all’università, non praticò mai volentieri l’esercizio dell’oralità, se non quando obbligato dagli interventi che concedeva con il contagocce a circoli militanti, ai raduni sindacali, durante conferenze o dibattiti, anche via radio o televisione. Gorz confidò a un corrispondente nel 1994: «Sono un pessimo dibattitore, perdo spesso il filo, non sono tempestivo né ho il senso della battuta pronta e farei meglio ad astenermi del tutto da questo genere di esercizio». La sua voce, gracile come il suo corpo emaciato, era dolce ma come soffocata dall’angoscia di dire troppo in fretta ciò che era ancora in gestazione, e più tardi rotta dall’invecchiamento e ansimante nella ricerca del modo migliore di esprimere evidenze nascoste. La notorietà lo obbligò comunque a prestarsi per decine di volte all’esercizio dell’intervista, generalmente in seguito all’uscita di uno dei suoi libri. Ma se, come di consueto, voleva sempre rivedere su carta i risultati di queste registrazioni, preferiva possibilmente ricorrere ad un’altra formula, quella del va e vieni delle domande e risposte scritte.
E fu proprio questa la formula che Gorz impose come condizione a Erich Hörl che, nell’estate del 1990, gli aveva chiesto un’intervista per uno speciale dedicato al suo pensiero, speciale che sarebbe poi apparso su «Kurswechsel», rivista viennese di alternativa sociale economica e ambientale. Questa lunga intervista è riprodotta qui. L’intervistatore, ecologista convinto, lettore di Günther Anders e Michel Foucault – il primo ancora sconosciuto a Gorz, il secondo da lui ridimensionato –, ingaggiò una libera discussione su temi vari che vanno dai fondamenti filosofici di Gorz alle sue relazioni con Sartre, dal rapporto dell’uomo con la natura all’uso delle tecnologie, dalla definizione dell’economia a quella del tempo liberato, dalla causa femminista al ruolo degli intellettuali, ecc. Hörl cominciava allora una carriera filosofica che lo avrebbe poi reso noto in Germania – dove oggi insegna nel campo dei media digitali – come uno dei commentatori più agguerriti dei processi di applicazione della cibernetica a tutte le forme di vita.13
Gorz consegnò una prima versione dattilografata il 19 agosto. Otto giorni più tardi, incontrò per la prima volta il suo intervistatore al caffè La Rotonde di Montparnasse, dove si accorse che colui che aveva letto con intelligenza molti dei suoi libri, fra i quali quello più introspettivo, Il traditore, non era un distinto professore austriaco, ma un ragazzo di ventidue anni. Scoprirono ben presto il terreno di intesa che li legava: la comune passione per la messa in scena del pensiero tramite il gioco della scrittura. Fu il punto di partenza dell’intervista, ma anche di una lunga corrispondenza nella quale il giovane si abbandonò ad una sorta di analisi esistenziale con chi, ben più vecchio, l’aveva praticata per tutta la vita.
Gorz considerava importante l’intervista realizzata da Hörl come è provato dal fatto che, in una data ulteriore non precisata, intraprese lui stesso una traduzione in francese di questo testo in vista della sua inclusione in una raccolta. Questa traduzione fu poi abbandonata a due terzi del lavoro, ed è stata qui portata a termine. Le abbiamo affiancato altre due interviste pubblicate più recentemente, la prima quasi simultaneamente in diversi paesi (Italia, Svizzera, Germania e Brasile) nel 2003, la seconda in Brasile nel 2005; e un testo inedito che è una libera ritrascrizione, fatta da Gorz stesso, di passaggi cruciali e nuovi inclusi nell’edizione tedesca de L’immateriale14 nel 2004. Questi tre testi recenti offrono un’idea dell’evoluzione ulteriore e finale del pensiero di Gorz, impegnato nella critica del capitalismo cognitivo, un’evoluzione ormai meglio disposta nei confronti dell’idea di un reddito di esistenza incondizionato sulla quale, nel 1990, Gorz nutriva ancora serie riserve.

Fondamento e limiti del reddito di esistenza

Riguardo appunto alla rivendicazione del reddito di cittadinanza – o reddito di esistenza come preferiscono dire Gorz e molti Francesi –, il pensiero gorziano non ha smesso di evolvere ed approfondirsi. Nel 1990 Gorz credeva soprattutto che un reddito garantito incondizionato rischiasse di scavare un fossato tra i lavoratori integrati e quelli considerati come semplici scarti. Continuava così a raccomandare la soluzione che aveva già proposto ne La strada del paradiso (1983),15 quella di un reddito sociale garantito a vita in cambio di un volume di lavoro ridotto e ripartito a scelta su periodi determinati della vita. Si trattava dunque di riconoscere il diritto per i lavoratori «al reddito continuo per un lavoro discontinuo» e la cui discontinuità corrispondeva ad una libera organizzazione del tempo. È un’idea che Gorz condivideva con gli economisti svedesi Gösta Rehn e Gunnar Adler-Karlsson.
Nel 1996, quando la disoccupazione raggiunse il record in Francia (si avvicinò all’11%) e quando il dibattito sul reddito universale aveva già una decina di anni, Gorz aderì infine alla causa del diritto al reddito garantito senza alcuna contropartita. Un’analisi delle ultime evoluzioni del capitalismo lo convinse della legittimità e dell’attualità di questa misura. Il capitalismo aveva progressivamente spostato il suo baricentro dall’industria ai servizi, dalla produzione materiale a quella immateriale, dall’economia reale alla finanza. Il lavoro vivo era ed è massicciamente soppresso dall’automazione, dalla robotizzazione e dalla digitalizzazione. La natura stessa del lavoro è sconvolta da queste trasformazioni. Il processo di produzione non si riduce più al processo di lavoro che «fabbrica» il prodotto. Ormai, il valore aggiunto è dato principalmente da fattori di produzione che derivano da un lavoro fantasma, immateriale e non più misurabile col criterio del tempo: il lavoro dell’intelligenza (e degli affetti). Immaginazione, creatività, coinvolgimento integrale della persona, gestione virtuosa dei TIC, ecco ciò che alimenta la produzione moderna. Ora, queste qualità produttive intellettuali (e affettive) non sono più fattori appartenenti al solo processo produttivo, come lo era la scienza applicata alle macchine e all’organizzazione tecnica del lavoro, ma sono immanenti alle persone stesse. Siamo entrati nell’era della «produzione di sé». Forme nuove di produrre, potenzialmente extracapitalistiche, appaiono – come, per esempio, l’economia collaborativa (share economy). Ma, è vero, sono tutte facilmente recuperabili ed integrabili nel processo di mercantilizzazione. Le pratiche di captazione del sapere attraverso la sollecitazione esternalizzata di collaborazioni volontarie, chiamate crowdsourcing, non sono che uno degli esempi.
L’opportunità del reddito di esistenza è fondata sul riconoscimento delle potenzialità sovversive della «produzione di sé», sia per l’emancipazione produttiva che per l’emancipazione esistenziale. Questo reddito garantito dovrebbe pertanto servire a sottrarre la «produzione di sé» alla valorizzazione per mezzo del capitale. Acquisterebbe tutto il suo significato se venisse concepito come uno strumento utile a favorire lo sviluppo di attività non mercantili, come quelle legate all’economia solidale, o la nascita di attività locali di autoproduzione individuali o collettive che potrebbero contribuire alla creazione di nuove ricchezze. Ricchezze fatte di valori d’uso non misurabili e dall’estensione dei legami sociali.
Alla fine della sua vita Gorz ritornò sul tema, in particolare nell’edizione in lingua tedesca de L’immateriale che apparve nel 2004. Influenzato dal radicalismo anticapitalista degli autori legati alla critica del valore (intrattenne una fitta corrispondenza con il militante del software libero tedesco Stefan Meretz e con il giornalista austriaco Franz Schandl), Gorz ammise che il reddito di esistenza, concedendo denaro finalizzato al consumo, non avrebbe fatto altro che alimentare il feticismo del denaro e della merce, con il risultato di mantenere i suoi beneficiari sotto il giogo del capitalismo. Finì quindi per concepirlo come una misura transitoria atta a distribuire quei beni impossibili da produrre localmente perché generati dalla divisione del lavoro tecnologica o geografica. Gorz non ebbe il tempo per approfondire le altre soluzioni che cominciava soltanto a ventilare, come quella delle monete locali o di una gratuità che avrebbe permesso la proliferazione dei «beni comuni»


Note:

1. A. Gorz, Il traditore, Il Saggiatore, Milano 1966.
2. A. Gorz, Lettera a D. Storia di un amore, Sellerio, Palermo 2008.
3. La Confederazione francese democratica del lavoro (CFDT) è un sindacato francese laico, di origine cattolica, attestato sulle posizioni dell’autogestione fino al tornante strategico riformista dei primi anni ottanta (NdT).
4. PSU, equivalente francese dello PSIUP (NdT).
5. A. Gorz, La morale della storia, Il Saggiatore, Milano 1960.
6. A. Gorz, Stratégie ouvrière et néocapitalisme, Éditions du Seuil, Paris 1964.
7. Á. Heller, La teoria dei bisogni in Marx, Feltrinelli, Milano 1974.
8. A. Gorz, Metamorfosi del lavoro. Critica della ragione economica, Bollati Boringhieri, Torino 1992.
9. A. Gorz, Miserie del presente, richezza del possibile, Roma, Manifestolibri, 1998.
10. A. Gorz, Sette tesi per cambiare la vita, Feltrinelli, Milano 1977; riedizione: Ecologia e libertà, Orthotes Editrice, Napoli-Salerno 2015.
11. L’edizione originale in francese di questo opuscolo è apparsa in una collana, «Audiographie», dedicata a raccogliere testi orali (NdT).
12. A. Gorz, Fondements pour une morale, Galilée, Paris 1977
13. Hörl oggi tiene a precisare: «Ho incontrato Gorz in un momento di entusiasmo antitecnico ispirato dalla lettura di Günther Anders. Soltanto più tardi ho cominciato a comprendere che il processo di cibernetizzazione era la chiave del nostro tempo.»
14. A. Gorz, L’immateriale. Conoscenza, valore e capitale, Bollati Boringhieri, Torino 2003 (questa traduzione, fatta sull’edizione originale francese del 2003, non tiene conto dei rimaneggiamenti dell’edizione in tedesco).
15. Vedi A. Gorz, La strada del paradiso. L’agonia del capitale, Edizioni Lavoro, Roma 1984, tesi 17.

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Willy Gianinazzi

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